La Commissione archeologica della Grecia (Kas) dice no all’uso della Acropoli per una sfilata di Gucci. Nonostante il milione di euro offerto dal noto brand per l’affitto, e l’aggiunta di altri 55 milioni di euro per i diritti a girare e promuovere 900 secondi di show in passerella. Il Partenone e i monumenti dell’Acropoli richiedono tutela, non sono una merce qualsiasi. Questo è il messaggio che coraggiosamente viene da Atene, del tutto in controtendenza rispetto a quello che accade in Italia, dove il Ponte Vecchio fu noleggiato alla Ferrari dall’allora sindaco Matteo Renzi per una festa esclusiva, vi furono sfilate di moda con danze masai agli Uffizi e la soprintendenza del Polo museale fiorentino arrivò persino a stilare un prezzario per l’affitto di Boboli e di altri luoghi di altissimo pregio storico-artistico.
La decisione della Commissione archeologica greca, per altro, è maturata nell’arco di mesi, e alla fine è arrivato un secco no, nonostante i fondi per la cultura dopo la crisi siano ridotti all’osso nel Paese. Ma «il valore e il carattere dell’Acropoli è incompatibile con un evento di questo tipo», si legge in una nota della Commissione, mentre il direttore del museo Dimitris Pantermalis ha sottolineato che l’Acropoli non ha bisogno di pubblicità.
Ciò che è interessante notare è anche questa decisione segna un cambio di direzione rispetto alla gestione dei beni culturali in Grecia, che nel 1951 offrirono i marmi e le colonne del Partenone come scenario di lusso per la sfilata di Christian Dior e poi come location per spot di Coca-Cola, Lufthansa e Verizon. Ma non solo.
Durante del boom economico in cui la Grecia era la meta preferita dei vacanzieri e tira tardi da ogni parte del mondo. «Erano anni di sregolatezza e consumismo, mentre era ancora forte l’eredità comunista e anarchica all’epoca del Pasok. Il deficit saliva, ma il partito continuava ad appoggiare la deregulation per mantenere il consenso. A farne le spese sono state la tutela del patrimonio storico-artistico e la tutela del territorio.