Non è passato un giorno dalle dimissioni di Michael Flynn, consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, che avrebbe promesso all'ambasciatore russo di cancellare le sanzioni decise da Obama prima di entrare in carica, che scoppia una nuova bomba putiniana. La notizia del giorno è che le agenzie di intelligence, che monitorano in maniera costante le telefonate dei funzionari stranieri residenti negli Stati Uniti, hanno registrato chiamate tra diversi membri dello staff dello staff di Donald Trump durante i mesi di campagna elettorale. Quel che non sappiamo e che le agenzie dicono di non aver verificato è se e come la campagna del presidente abbia complottato con i russi per influenzare il risultato elettorale. A dare la notizia è il New York Times, dopo che il Washington Post si era aggiudicato lo scoop dei contatti tra Flynn e l'ambasciatore russo. A tenere i contatti sarebbe stato Paul Manafort, che si dimise proprio a causa dei legami troppo stretti con la Russia e i legami economici con i leader filorussi in Ucraina. Manafort ha risolutamente smentito, non appena è uscito il suo nome. Il New York Times scrive che Manafort è uno dei quattro le cui comunicazioni vengono sottoposte a vaglio, non sappiamo i nomi degli altri. Sergei A. Ryabkov, vice ministro degli Esteri russo, aveva dichiarato nei giorni successivi all'elezione di Trump che «ci sono stati contatti...ovviamente conosciamo la maggior parte delle persone del suo staff». La gente di Trump aveva smentito. Le intercettazioni furono decise a causa della preoccupazione degli apparati dell'intelligence per i riferimenti continui ed entusiasti di Trump ai russi e a Vladimir Putin e alla sua speranza che questi hackerassero le email di Clinton e le rendessero pubbliche - cosa che è successa poche settimane dopo. Le intercettazioni riguardano molte persone e non solo membri dell'intelligence russa. Ieri la Casa Bianca aveva ammesso che il presidente sapeva dei problemi russi di Michael Flynn da un mese - e, quindi, ha aspettato molto prima di farlo dimettere - mentre il vice Pence, che aveva difeso il consigliere per la sicurezza nazionale pubblicamente, avrebbe saputo solo successivamente. Il caso di Flynn è leggermente diverso: le sue telefonate vengono registrate come quelle di tutti i membri delle alte cerchie dell'intelligence, quindi la sua è stata pura cialtroneria o arroganza. Mentre faceva promesse all'ambasciatore russo, Flynn sapeva (o avrebbe dovuto sapere) di essere registrato. Le conseguenze politiche della vicenda sono grandi. I repubblicani hanno condotto diverse inchieste, audizioni e una campagna furibonda sul mancato intervento del Dipartimento di Stato e la cattiva gestione dell'attacco all'ambasciata Usa a Bengasi, che costò la vita a un diplomatico. Quello è stato uno dei modi per colpire Clinton in campagna elettorale. Ora i democratici e diversi senatori repubblicani chiedono un'inchiesta su questa vicenda. E più particolari emergono e più la cosa si fa brutta per il presidente in carica. La sua scelta di aver attaccato le agenzie di intelligence e i media non sta esattamente pagando: quando si ha qualcosa da nascondere è meglio evitare di mettersi contro questi due poteri.

Non è passato un giorno dalle dimissioni di Michael Flynn, consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, che avrebbe promesso all’ambasciatore russo di cancellare le sanzioni decise da Obama prima di entrare in carica, che scoppia una nuova bomba putiniana. La notizia del giorno è che le agenzie di intelligence, che monitorano in maniera costante le telefonate dei funzionari stranieri residenti negli Stati Uniti, hanno registrato chiamate tra diversi membri dello staff dello staff di Donald Trump durante i mesi di campagna elettorale. Quel che non sappiamo e che le agenzie dicono di non aver verificato è se e come la campagna del presidente abbia complottato con i russi per influenzare il risultato elettorale.

A dare la notizia è il New York Times, dopo che il Washington Post si era aggiudicato lo scoop dei contatti tra Flynn e l’ambasciatore russo. A tenere i contatti sarebbe stato Paul Manafort, che si dimise proprio a causa dei legami troppo stretti con la Russia e i legami economici con i leader filorussi in Ucraina. Manafort ha risolutamente smentito, non appena è uscito il suo nome. Il New York Times scrive che Manafort è uno dei quattro le cui comunicazioni vengono sottoposte a vaglio, non sappiamo i nomi degli altri.

Sergei A. Ryabkov, vice ministro degli Esteri russo, aveva dichiarato nei giorni successivi all’elezione di Trump che «ci sono stati contatti…ovviamente conosciamo la maggior parte delle persone del suo staff». La gente di Trump aveva smentito.

Le intercettazioni furono decise a causa della preoccupazione degli apparati dell’intelligence per i riferimenti continui ed entusiasti di Trump ai russi e a Vladimir Putin e alla sua speranza che questi hackerassero le email di Clinton e le rendessero pubbliche – cosa che è successa poche settimane dopo. Le intercettazioni riguardano molte persone e non solo membri dell’intelligence russa.

Ieri la Casa Bianca aveva ammesso che il presidente sapeva dei problemi russi di Michael Flynn da un mese – e, quindi, ha aspettato molto prima di farlo dimettere – mentre il vice Pence, che aveva difeso il consigliere per la sicurezza nazionale pubblicamente, avrebbe saputo solo successivamente. Il caso di Flynn è leggermente diverso: le sue telefonate vengono registrate come quelle di tutti i membri delle alte cerchie dell’intelligence, quindi la sua è stata pura cialtroneria o arroganza. Mentre faceva promesse all’ambasciatore russo, Flynn sapeva (o avrebbe dovuto sapere) di essere registrato.

Le conseguenze politiche della vicenda sono grandi. I repubblicani hanno condotto diverse inchieste, audizioni e una campagna furibonda sul mancato intervento del Dipartimento di Stato e la cattiva gestione dell’attacco all’ambasciata Usa a Bengasi, che costò la vita a un diplomatico. Quello è stato uno dei modi per colpire Clinton in campagna elettorale. Ora i democratici e diversi senatori repubblicani chiedono un’inchiesta su questa vicenda. E più particolari emergono e più la cosa si fa brutta per il presidente in carica. La sua scelta di aver attaccato le agenzie di intelligence e i media non sta esattamente pagando: quando si ha qualcosa da nascondere è meglio evitare di mettersi contro questi due poteri.