Questa mattina, 22 febbraio, parte #conduesì, la campagna referendaria della Cgil su voucher e per la piena responsabilità solidale negli appalti. Mentre dal governo si attende una data, povertà e bassi salari continuano a crescere. Ecco cosa chiedono i quesiti

Questa mattina, 22 febbraio, la campagna referendaria della Cgil scalda i motori: i camper del “Comitato per il Sì” partono per attraversare il Paese e sostenere i due referendum, contro i voucher e per la piena responsabilità solidale negli appalti. La campagna “Libera il lavoro. Con 2 Sì Tutta un’altra Italia” parte, anche se una data certa per le consultazioni ancora non c’è, perché il governo non ha ancora provveduto a fissarla. «Si fissi la data del referendum», continuano a ripetere Susanna Camusso e i suoi. E le fanno eco i dirigenti di buona parte della sinistra. Ma le orecchie di Paolo Gentiloni, al momento, sono sorde all’appello.

Intanto, nello Stivale continuano ad aumentare disuguaglianze economiche e concentrazione della ricchezza. Crescono i poveri e i bassi salari e il ceto medio si fa sempre più fragile: lo dice il Rapporto sulla qualità dello sviluppo realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Di Vittorio, l’Istituto nazionale della Cgil per la ricerca storica. È un Paese, l’Italia, dove il pessimismo vince sulla capacità di sognare e viene sempre più difficile credere al miglioramento delle proprie condizioni. Solo il 31% degli italiani pensa che la situazione economica del Paese migliorerà nel prossimo anno, nel 2015 era il 44% . E solo l’11% si aspetta che siano le proprie individuali condizioni a migliorare. Di fronte a una tale “depressione”, ha commentato Camusso, emerge «la necessità di cambiare rotta rispetto alle politiche economiche e sociali. Dare risposte partendo dai più deboli non solo è giusto ma è il meccanismo necessario per dare sicurezza a tutti, per dare fiducia».

Voucher e appalti. Cosa chiedono i referendum

Abolire i voucher. Per la Cgil sono spesso un modo per “mascherare” il lavoro nero, mentre per il governo favorirebbero l’emersione del lavoro nero. I buoni lavoro vengono acquistati – comodamente in tabaccheria – dal datore di lavoro e vengono poi consegnati al lavoratore che, per riscuoterli, aspetta spesso diverse settimane. Il taglio più piccolo vale 10 euro e, al netto delle tasse, corrisponde a un compenso netto di 7,5 euro. Il resto viene incassato dall’Inail e Inps, che in cambio forniscono una copertura contributiva e assicurativa. I voucher – che in ogni caso favoriscono l’aumento del precariato – sono stati introdotti per la prima nel 2003 e nel corso degli anni la possibilità di utilizzarli è stata molto ampliata. Già prima del Jobs Act del governo Renzi erano diffusi, ma con la riforma del Lavoro si è alzato il tetto massimo da 5 a 7mila euro netti in un anno. Ed è aumentato il ricorso ai voucher: del 32% nei primi dieci mesi del 2016 e del 67% nei primi dieci mesi del 2015. Le «leggere e poco rilevanti» modifiche ai voucher previste dal Job Act hanno in realtà riscritto la normativa, perciò abolendo alcuni articoli del Job Act è possibile cancellare lo strumento dei voucher, anche se di fatto è stato introdotto da un’altra legge più di dieci anni prima. 

E’ estremamente tecnico ma, allo stesso tempo, estremamente semplice, invece, il quesito sulla modifica alla responsabilità di committenti, appaltatori e sub-appaltatori nei confronti dei lavoratori impiegati negli appalti. Oggi, in caso di irregolarità nei pagamenti di stipendio e contributi, il dipendente di una società che ha ricevuto un appalto o un subappalto può rivalersi su chi ha commissionato l’appalto, ma solo se non è riuscito a ottenere quanto gli era dovuto da chi ha ricevuto l’appalto, cioè il suo datore di lavoro. Se il referendum dovesse passare quel lavoratore potrà decidere di chiedere direttamente il denaro che gli è dovuto al committente dell’appalto. Una modifica che, oltre che tutelare maggiormente i lavoratori, infonderebbe in chi affida un appalto una maggiore attenzione riguardo agli affidatari.

Un’occasione per dire No alle politiche del governo

Ricordate il voto del 4 dicembre? Il referendum per difendere la Costituzione dalla riforma Boschi-Renzi? Sembra passato un secolo da quel voto, ne sembrano passati due da quell’energia che rinvigoriva i vincitori. Perché, all’indomani di quella vittoria, in tanti hanno invocato il referendum di primavera della Cgil per esprimere un voto politico direttamente sulle politiche del governo, quelle del lavoro in particolare. Anche se poi la Consulta ne ha ammessi solo due su tre, quello sui voucher e quello sugli appalti, appunto, stoppando invece il cavallo di battaglia: il terzo quesito, quello sull’articolo 18. Ma rimane un «referendum sulla precarietà e sullo sfruttamento», come ci ha già spiegato il deputato Pippo Civati di Possibile, e come potete rileggere cliccando qui. «Non hanno ascoltato il nostro No. Sentiranno i nostri Sì», aveva annunciato Maurizio Landini già in dicembre dalle pagine di Left. Se solo il governo fissasse una data. Nell’attesa una parte della politica si mobilita, la parte sinistra. Domani, giovedì 23, nella sede romana della Cgil si terrà un incontro tra Maurizio Landini, Michele Emiliano, Pippo Civati, Anna Falcone, Paolo Ferrero, e Nicola Fratoianni. Qualunque sia la data, i referendum sociali sono almeno riusciti nell’impresa di metterli tutti intorno allo stesso tavolo.