Sono 21mila le donne che si sono dovute spostare dalla propria Regione per abortire nel 2012, secondo l'Istat. L'interruzione di gravidanza continua ad essere osteggiata in Italia, esponendo le donne a gravi rischi per la salute

La notizia di un concorso per ginecologi non obiettori all’ospedale San Camillo di Roma ha fatto molto discutere, ottenendo in risposta una levata di scuda da parte della Cei, quando si tratta di una misura assolutamente necessaria, dal momento che la la legge 194 sull’interruzione di gravidanza rischia di essere del tutto disapplicata, nel Lazio come in molte altre Regioni dove – anche per motivi di convenienza – sette ginecologi su dieci si dichiarano obiettori. Con la conseguenza che i rari medici non obiettori fanno solo quello. Una misura ragionevole e del tutto commisuratata alla realtà però, ha fatto scalpore. E su questo c’è da riflettere. In primis perché sarebbe davvero una notizia se lo facessero tutti gli ospedali italiani. I bandi come quello del San Camillo andrebbero estesi a tutte le regioni, affinché nei reparti di ginecologia vi sia almeno di 50 per cento di personale non obiettore, come i Radicali italiano chiedono da tempo. Perché con tutta evidenza “La tutela dell’obiezione di coscienza prevista dalla 194 non può confliggere con il diritto ad accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, sancito dalla stessa legge”. Le Regioni, infatti, devono garantire piena applicazione della legge mentre il ministero della Salut è chiamato a vigilare affinché ciò accada in tutta Italia. Cosa che non avviene oggi. Di fronte a questa drammatica evidenza di negazione del diritto delle donne a poter decidere sulla propria vita sessuale e riproduttiva molti giornali italiani preferiscono dare spazio e senza contraddittorio a ciò che dice la Chiesa, attraverso la Conferenza episcopale italiana (Cei).Che si permette di sentenziare: Il provvedimento preso dal San Camillo “snatura l’impianto della legge 194 che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo”. Così Don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Ancora una volta il Vaticano interviene a gamba tesa nelle questioni politiche e di piena applicazione della legge che riguardano lo Stato italiano. E una classe politica genuflessa come la maggior parte dei media italiana non solo considera tutto questo “normale”, ma fa proprio questo diktat oscurantista e anti storico. Chiudendo gli occhi di fronte alla realtà: sono 21mila le donne che si sono dovute spstare dalla propria Regione per abortire nel 2012, secondo l’Istat. L’interruzione di gravidanza continua ad essere osteggiata in Italia esponendo le donne a gravi rischi per la salute. E il ministro della Salute Lorenzin non può non tenerne conto.

Come abbiamo rilevato più volte, l’obiezione di coscienza in materia di aborto poteva frse avere senso nel 1978, quando entrò in vigore la legge sull’interruzione di gravidanza e tanti ginecologi erano già in ruolo. Quello che doveva essere un provvedimento transitorio per rispondere a quei medici che avevano scelto la specializzazione in ginecologia prima che l’impianto giuridico cambiasse, oggi è un ostacolo all’applicazione della legge stessa. Chi decide di specializzarsi in ginecologia sa che nell’esercizio pubblico della sua professione rientra anche la possibilità di fare interruzioni di gravidanza. Se questo confligge con un suo credo religioso, può intraprendere un’altra carriera, oppure può lavorare nel settore sanitario privato, dove gli aborti sono vietati. Ma a ben vedere c’è di più, perché lo Stato dovrebbe avallare un’idea anti scientifica che l’aborto sia un assassinio? La moderna neonatologia ha ampiamente dimostrato che il feto non ha alcuna possibilità di vita autonoma fuori dall’utero prima di 23/24 settimane di gravidanza. Solo alla nascita si sviluppa la vita psichica. Prima l’apparato cerebrale del feto è deconnesso e immaturo. La legge non può non tener conto dei progressi della scienza in uno Stato che si dica laico e moderno.
Dunque oggi dovrebbe rispondere eliminando dal testo della 194 l’articolo 9 che permette e regola l’obiezione di coscienza, di modo che gli stessi ginecologi obiettori, se antiabortisti per convinzione e non per mera opportunità, rifiutino da soli di intraprendere la carriera negli ospedali pubblici. Oppure deve legiferare per abbassare drasticamente le percentuali di obiettori-non obiettori negli ospedali, stabilendo ad esempio delle soglie minime di medici non obiettori nei reparti di ginecologia. Non ci sono altre strade.