Bersani usa la stessa parola di Pisapia: "Campo". Perché si lascia il Pd - lo si lascia a Renzi - ma poi col Pd si faranno ovviamente i conti. Se prima o dopo il voto, dipende dalla legge elettorale

La rottura c’è e presto arriveranno anche i gruppi parlamentari, che forse si sperava fossero più numerosi ma che nasceranno comunque dall’unione tra scissionisti del Pd e scissionisti di Sinistra Italiana. Cominciano a capirsi meglio anche le ragioni politiche della rottura, che vanno oltre le ragioni congressuali su cui ovviamente Renzi schiaccia Bersani&co (che si fanno lì schiacciare, però, preoccupati di non passare loro per quelli che se ne vanno, e alla ricerca quindi di un pretesto formale).

Le ragioni politiche, in realtà, basterebbero da sole (Bersani e Rossi – ma anche Errani e Epifani – sono arrivati, forse in ritardo, a una critica radicale della globalizzazione, in sintesi, di cui considerano conclusa la spinta progressiva) e non ci sarebbe motivo di tirare in ballo – oggi – la natura leaderistica del Pd: che è un partito nato con le primarie e quindi lo si poteva mettere in conto, diciamo, l’arrivo di uno che, forte dell’investitura popolare, avrebbe fatto tutto da solo, chiamando «caminetti» quello che poi sarebbe una normale concertazione tra le diverse anime (che poteva esser più trasparente, ma quello è).

Le ragioni basterebbero, dunque, e anzi avrebbero richiesto di fare questo passo ben prima, come riconosce lo stesso Bersani, anche nella decisiva intervista rilasciata a Floris: «Quando dico alla mia famiglia che non sono più del Pd alcuni mi dicono “Era ora”», dice l’ex segretario.

Che però, confermando la rottura e annunciando che lui non rinnoverà la tessera, che non è interessato al congresso aperto da Renzi, dice anche qualcosa in più. «Mi sono convinto», dice Bersani, «che il Pd di Renzi non è in grado di incrociare quel pezzo di popolo di cui noi abbiamo assolutamente bisogno».

E capiamo così meglio cosa sarà il nuovo partito che sta nascendo, e che già sappiamo che, nelle intenzioni di chi lascia il Pd, non sarà un “cosa rossa”: «Non faremo una Cosa Rossa ma non sputeremo sul Rosso», dice Bersani, che pensa a una vocazione più ulivista, tenendo dentro i moderati.

Abbiamo però altri elementi, adesso, che troviamo nelle parole di Bersani. Tema: alleanze
. «Il Pd», continua infatti, «lo si può solo concepire come architrave di un centrosinistra plurale, il Pd nasce con questa ispirazione. Un partito da solo non può farcela, bisogna organizzare dei campi. Stiam parlando di un campo, non drammatizziamo, se non c’è il campo non basta il Pd. La domanda è: esiste o no un centrosinistra all’altezza di competere con la destra che cresce nel mondo?».

Bersani, quindi, spera in una coalizione e si organizza per esser la gamba sinistra, un po’ come vuole fare Pisapia. Curiosamente, usa anche la stessa parola: “Campo”
(e la speranza è quindi che ci si incontri, limitando la frammentazione). Toccherà vedere se la legge elettorale prevederà le alleanze pre elettorali, ma quella è l’idea (e altrimenti la si farà dopo, come proporzionale impone). Conferme ne troviamo diverse.

Nei suoi 13 consigli alla minoranza dem, agli scissionisti, ad esempio, Peppino Caldarola ne dà uno che, in questo caso, ci interessa. «La critica del Pd non deve diventare il tema principale del nuovo soggetto. Il nome “Renzi” va abolito. Non è né un nemico né un avversario, è il capo di un partito estraneo», scrive Caldarola, convinto però che «con questo partito bisognerà immaginare una alleanza politica per le prossime sfide elettorali. Trasformare il “guasto nell’aggiusto” dicono nella mia città di origine».

È quello che pensano Bersani&co (e forse quello che pensa Renzi, alla fine, ché altrimenti non sarebbe così contento). Anche Rossi l’ha detto nel mezzo di uno scontro con l’alfiere del Corriere Maria Teresa Meli: «Io sono uscito dal partito democratico perché Renzi è contento, e perché ci sono milioni di cittadini di sinistra che non si riconoscono nel Pd renziano. E siccome lui vuole restare a capo del Pd, noi lo salutiamo e gli diciamo: “confrontati con Emiliano, noi andiamo a fare una cosa di sinistra molto ampia e vediamo quanti voti prenderà. Quando sarà di nuovo a capo del Pd, poi, discuteremo».

Il ragionamento, ovviamente, fila. Persino Sinistra Italiana (che dal soggetto bersaniano sarebbe evidentemente stretta, soprattutto se non ci saranno le coalizioni) non esclude – ma loro solo dopo le elezioni – di incontrarsi col Pd, convinta di poter condizionare un futuro governo e spostarlo nella direzione opposta verso cui, ad esempio, l’ha (agevolmente) spinto Alfano negli ultimi tre esecutivi. La cosa bersaniana, però, non esclude alleanze anche prima: dipenderà dalla legge elettorale. Ma, allora, ci si potrebbe ovviamente chiedere perché non farne una solo a sinistra, con loro come margine destro.