Il Washington Post ha monitorato le prime settimane di presidenza Trump ed ha verificato che non è passato giorno in cui il presidente non abbia detto almeno una bugia clamorosa o distorto una notizia (133 in 34 giorni). Nazionalismo, populismo, bugie clamorose ed esagerazioni – che si tratti di immigrati, pericoli, tasse o Europa – sono il tratto caratterizzante di una parte crescente del dibattito politico in Occidente. Chi usa quei toni, quel modo di manipolare sembra avere un metodo simile – quello del discredito dei media e dell’utilizzo dei social media per fornire la propria versione della realtà. Con enormi differenze di ruolo, status e modo di esprimersi, queste figure sono il presidente americano, i leader dei partiti della destra xenofoba europea e il presidente russo Vladimir Putin. Costoro condividono una visione comune del futuro dell’Europa. Per Putin una scelta geopolitica, per Trump l’assenza di una geopolitica alla ricerca di risultati economici immediati e per i nazionalisti europei la volontà di tornare ciascuno all’interno dei propri sacri confini. Costoro hanno rapporti, si incensano, si usano, si ammirano. E stanno costruendo una forza politica planetaria. Niente di segreto, nessun piano oscuro, tutto alla luce del sole o quasi. Il lungo articolo che trovate qui sotto è un tentativo molto parziale di ricostruire qualche legame. Non è un’inchiesta ma un lavoro di ricerca di materiale in rete e fondi secondarie. Che pure messo tutto assieme segnala un lavorio reale. Partiamo da un tweet di qualche tempo fa, che mette in evidenza come i contatti siano costanti e su molti livelli. Partiamo da due eletti al Congresso degli Stati Uniti.
Dana Rohrabacher è un rappresentante repubblicano eletto in California. Steve King, stesso partito, è eletto in Iowa. Rohrabacher è un vecchio reaganiano, ha lavorato con il presidente icona conservatrice, scritto i suoi discorsi e lasciato lo staff presidenziale nel 1988 per farsi eleggere in Congresso. Ad aiutarlo nel fundraising fu Oliver North, che pochi anni prima era stato coinvolto nello scandalo Iran-Contra – programma segreto che prevedeva di vendere armi agli iraniani in cambio del rilascio di ostaggi americani, i soldi ricavati vennero usati per finanziare illegalmente i contras, guerriglia anti sandinista in Nicaragua. In anni precedenti Rohrabacher era entrato in Afghanistan durante l’invasione sovietica e aveva passato due mesi con i mujaheddin, forse partecipando come osservatore ai combattimenti. In gioventù era il prototipo perfetto del libertario, di quello strano intreccio, tutto americano, fatto di isolazionismo, libero mercato, costituzione delle origini e culto dell’individuo.
Negli anni 80 è diventato reaganiano e oggi, infine, è un trumpiano di ferro e filo-russo. Rohrabacher si è battuto in Congresso per far cancellare le sanzioni contro alcune figure dell’establishment russo legate all’affare Sergei Magnitsky, avvocato dipendente di una compagnia britannica di investimenti che aveva denunciato affari poco chiari e complotti contro il suo datore di lavoro per fare in modo che i suoi affari russi passassero nelle mani di figure vicine al Cremlino. Magnitsky venne arrestato, detenuto un anno senza processo e morì in cella poco prima del suo rilascio – con segni di violenze sul corpo. Dopo un viaggio a Mosca, Rohrabacher si è convinto dell’innocenza delle autorità russe in quell’affare e si è assegnato una missione: far capire al Congresso Usa che il “caso Magnitsky” è una montatura e che bisogna smetterla di colpire i russi con sanzioni legate a quell’episodio. Il rappresentante della California era un marginale del gruppo repubblicano, chissà che con la presidenza Trump non ritrovi un ruolo. Di lui si è persino parlato come possibile Segretario di Stato. Non è andata, ma le voci rimangono comunque un segnale indicativo.
Steve King ha una storia molto meno interessante: è semplicemente un rappresentante dell’ala più dura, conservatrice, rozza e di destra del suo partito. Ha votato contro il finanziamento della ricostruzione nel dopo Katrina, l’uragano che ha colpito New Orleans nel 2005 e ne ha distrutto i quartieri poveri (e neri). Nonostante venga dall’Iowa, che ai tempi della Guerra Civile combatté al fianco del Nord, nel suo ufficio in Congresso si può vedere in bella mostra una bandiera confederata del Sud. È contro qualsiasi diritto degli animali, contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, contro ogni forma di immigrazione, detesta i musulmani e l’ex presidente Obama – che si dilettava a chiamare Hussein e definiva di fronte ai suoi elettori un «marxista di formazione musulmana».
Nel 2016 un intervento televisivo di King fece scalpore: mentre si parlava di un partito repubblicano tutto troppo bianco, lui intervenì dicendo: «Potete per favore elencare quali grandi avanzamenti della civiltà hanno prodotto gli altri sotto gruppi di cui parlate? (ndr neri, asiatici, latinos)». Si è poi corretto parlando di “superiorità della civiltà occidentale”, ma il King pensiero rimane quello: americani bianchi, europei bianchi, australiani e canadesi bianchi, sono parte di una civiltà superiore.
Tra le cose che King ama ritwittare dal suo account c’è Voice of Europe, una collezione di articoli sulla destra europea, sui danni fatti dagli immigrati e sulle No go zones, aree in cui le gang di immigrati dettano legge e la polizia ha paura a entrare. Se ne parla su molti siti di destra o russi (express.co.uk, DailyWire, Breibart, RT, Sputnik) esisterebbero in Svezia, specie nella zona di Malmoe, addirittura ne ha parlato Donald Trump durante un comizio, scatenando reazioni divertite e preoccupate (ne abbiamo parlato qui). Ovviamente si tratta di una colossale fakenews, derivata dal fatto che la polizia svedese ha indicato alcune zone difficili dal punto di vista socioeconomico e parte di una linea narrativa faziosa che racconta l’Europa (dove le no go zones sarebbero ovunque) sulla base si una propaganda di destra spinta e non apertamente dichiarata (ne parliamo qui).
L’esempio perfetto di un tipico tweet di Voice of Europe, per esempio, è questo: “Dopo 50 anni di tolleranza socialista l’Europa è un casino. Ci serve un approccio diverso: de-islamizzazione”.
After 50 years of socialist tolerance Europe is a total mess. We need a different approach and de-Islamize. pic.twitter.com/Nn6seT2fPz
— Voice of Europe (@V_of_Europe) 13 febbraio 2017
Cosa hanno in comune questi due signori? Il tweet qui sotto, di cui parlavamo prima. Di recente hanno incontrato Marine Le Pen, alla quale augurano di diventare presidente – come si legge nel tweet qui sotto. Ma Marine sul suo account, si guarda bene dal dare notizia dell’incontro, che gli americani, tutto sommato, non sono ben visti dai nazionalisti francesi. Le Pen in questi giorni sta battendo il Sud ed è stata a Mentone dove ha proposto un accordo bilaterale Francia-Italia per bloccare l’immigrazione. E poi in Libano, solo per mostrare che lei non si copre la testa nemmeno davanti al Gran Mufti.
US Congressmen King & Rohrabacher pay a visit to discuss Liberty & shared values w/(next president of France?) Marine Le Pen @MLP_officiel pic.twitter.com/UZEp8vWPNz
— Steve King (@SteveKingIA) 13 febbraio 2017
L’incontro con Le Pen è interessante perché ci dice, una volta di più come, tra la gente attorno a Trump, l’estrema destra europea e Mosca si stiano tessendo fili già da prima della vittoria del presidente a molti livelli. E di come, anche, tutti costoro utilizzino il web e i siti di notizie false o deformate come strumento di propaganda in maniera simile. Proviamo a ricostruire qualche legame e contatto, ricordando come i più occidentalisti, nel senso di legati ai valori occidentali e alle origini comuni, negli States siano quelli di alt-right e, in particolare, lo stratega della Casa Bianca Steve Bannon (qui un suo ritratto). Trump non ne è parte in senso stretto, non è ideologico, ma la sua Casa Bianca, lo abbiamo visto in diverse occasioni, a partire dall’ordine esecutivo anti-musulmani, è affidata in buona parte a figure di questa destra estrema. Non è un complotto e non c’è nulla di segreto. Si tratta di un disegno politico dai contorni non definiti e con alcuni nemici comuni: l’Islam, la laicizzazione della società, la sinistra degenerata.
Cominciamo con il primo ospite straniero di Trump incontrato tre volte tra le elezioni e l’insediamento: Nigel Farage, simbolo dell’anti europeismo militante britannico, figura che ha utilizzato notizie e dati falsi relativi al peso dell’immigrazione sul welfare nazionale e sull’NHS, il servizio sanitario di Sua Maestà. Con Farage c’è un legame stretto e c’è una comunanza di vedute sulle odiate élites politiche di Londra e Washington (e soprattutto Bruxelles, nel caso dell’inglese). C’è un elettorato simile e un messaggio fatto di iperboli, esagerazioni, distorsioni della realtà al servizio di una spinta radicale al cambiamento. Farage, tra l’estrema destra repubblicana si sente a casa. Qui sotto abbiamo Farage e King assieme al senatore del Mississippi Wicker, fiero avversario dell’aborto, difensore dei diritti dei portatori di armi anche in treno (c’è un emendamento a sua firma su questo) e unico senatore ad aver votato contro un testo nel quale c’è scritto che il cambiamento climatico è in atto e che l’uomo ha qualche responsabilità.
Senator Wicker, Nigel Farage & I solve the world’s problems. We will get it done with President Trump. pic.twitter.com/LBb6uwMDpT
— Steve King (@SteveKingIA) 20 gennaio 2017
In questo altro tweet c’è l’augurio di successo elettorale da parte di King a Frauke Petry e Geert Wilders, incontrati, oltre che negli Usa, anche durante un viaggio in Europa. La frase usata – «Il suicidio culturale che si realizza attraverso la trasformazione demografica, va fermato» – esprime un concetto caro ai suprematisti bianchi. Tutti costoro sono passati per gli States e con tutti ci sono stati contatti (anche con Orban, spesso nominato da Trump). In Occidente, con certa gente, gli Usa non ha avuto a che fare se non in alcuni Paesi e in maniera coperta e attraverso le agenzie di spionaggio negli anni della Guerra fredda.
@FraukePetry Wishing you successful vote. Cultural suicide by demographic transformation must end. @geertwilderspvv pic.twitter.com/Kp6uieaMDG
— Steve King (@SteveKingIA) 18 settembre 2016
L’interesse principale della cerchia di Bannon, dopo quelli con Farage e i campioni della Brexit, sono quelli con il Front National di Marine Le Pen, il partito più forte e, a modo suo, moderno e organizzato della destra europea. Breitbart News, il cui capo di fatto resta lo stratega della Casa Bianca, ha annunciato di voler aprire un ufficio a Parigi, dopo quello di Londra, e dedica grande attenzione alle elezioni francesi. Sul sito c’è un video che si chiede: «Che Le Pen sia pronta a ripercorrere le orme di Trump?».
Dagli Stati Uniti, gli attivisti web del Front National riprendono la modalità di attivismo web di quelli di alt-right. Alcuni utilizzano persino Pepe the frog, personaggio disegnato nel 2005 dall’illustratore Matt Furie, utilizzato come meme sui social meno frequentati e utilizzati soprattutto da giovani e geek (4Chan, Reddit e così via) e divenuto di colpo un personaggio utilizzato da quelli di alt-right. L’hashtag #levraiMacron (il vero Macron) è una campagna di demolizione andata avanti per settimane, somiglia molto a quelle anti-Clinton e associa il candidato emergente alle banche, alla famiglia Rotschild (ha lavorato per loro), all’Islam. Molti tra coloro che rilanciano e veicolano la campagna hanno come foto del profilo Pepe the frog in varie fogge napoleoniche o lepeniste e seguono e rilanciano le figure chiave della destra americana, fuori o dentro l’amministrazione Trump. Inutile dire che molti ritraggono Macron con la barba da ebreo ortodosso e lo associano a Israele e, al contempo, come se nulla fosse, lo attaccano per le parole sulla colonizzazione pronunciate in Algeria.
Le Pen e il suo partito, a loro volta, sono sostenitori della dissoluzione dell’Unione europea (sebbene abbia abbassato i toni sull’euro nella speranza di vincere e non spaventare troppo), nemici dell’Islam e grandi amici della Russia putiniana.
Il Front ha una lunga frequentazione con Mosca: il padre di Marine, Jean Marie, fece la sua prima visita nel 1996 per sostenere il candidato di estrema destra Jirinovski e vagheggiava una “Unione boreale” dei bianchi cristiani, Marine il primo viaggio, ricevuta dal presidente della Duma, lo compie nel 2012 e, nel 2014, dopo che la Russia annette la Crimea, i viaggi di dirigenti del partito dell’estrema destra francese si fanno frequenti (13 tra 2014 e 2016). In questo periodo Marine Le Pen sostiene l’annessione e tutta la politica sull’Ucraina di Putin. Nei giorni scorsi, invece, ha spiegato che il dittatore Bashar al Assad è la garanzia migliore per il futuro della Siria. Nel frattempo il partito ha ottenuto prestiti da banche russe che hanno generato gran dibattito in Francia (al link l’inchiesta di MediaPart) – “perché nessun altro finanziava la campagna” è la spiegazione del Front.
Episodio minore, quasi curiosità: la 21enne Maria Katasonova (nella foto di apertura), attivista pro regime, candidata di destra alla Duma e fan di Donald Trump, che di lavoro fa l’assistente di un parlamentare nazionalista, bombarda i suoi 28mila follower su twitter con immagini e slogan pro-Marine 2017. Lei è una faccia esplicita della propaganda messa in piedi dalla macchina russa, poi c’è il lavorio nella semi oscurità. Ecco Katasonova con Marion Marechal Le Pen, ala destra del partito e nipote di Marine. Il tweet linka a un articolo nel quale si racconta delle preoccupazioni dei servizi francesi per le possibili interferenze russe nella campagna elettorale 2017. Preoccupazione espressa anche dal ministro degli Esteri francese in maniera ufficiale.
Тут нам @RTLFrance сообщает, что русские решили поддержать Ле Пен.
И с чего они это взяли 🙂
🇷🇺 🇫🇷https://t.co/AAe85TUMCV#Marine2017 pic.twitter.com/htJ2qO8jRi— Мария Катасонова (@KatasonovaMaria) 9 febbraio 2017
L’olandese Geert Wilders ha a sua volta fatto diversi tour negli Stati Uniti e durante l’ultimo è stato ospite di diversi congressmen: uno è il nostro King, gli altri due, nella foto durante la conferenza stampa tenuta dal leader del Pvv, sono il rappresentante del Texas Louie Gohmert, che sfidò da destra lo speaker della Camera Boehnert e perse e Scott Perry, veterano dell’Iraq eletto in Pannsylvania e sponsor di diverse leggi che puntano alla discriminazione dei neri utilizzando stratagemmi burocratici e della “castle law” nel suo Stato, una legge che estende all’infinito il concetto di legittima difesa. Durante la conferenza stampa Wilders ha parlato dell’incompatibilità tra Islam e democrazia: «Venite a vedere in Europa e ve ne renderete conto». I leader della destra, insomma, vengono usati per trasmettere a un pubblico americano – quello che frequenta canali imformativi di destra – un’idea distorta della situazione in Europa.
Andiamo avanti, ma, per non proseguire all’infinito, fermiamoci all’Italia passando per la Trump Tower a midtown Manhattan. Dove Marine Le Pen è stata avvistata durante il periodo della transizione tra la presidenza Obama e quella Trump. Con chi ha parlato? Non con Trump. Forse con qualcuno della sua cerchia ristretta, forse cercava fondi. Attenzione però, quando parliamo di legami e relazioni, non stiamo facendo l’operazione di quei media che assegnano a Soros il ruolo centrale di qualsiasi cosa succeda in Europa (e nei cortei contro Trump). Parliamo dello sviluppo di un sentire comune, di un’agenda comune e obbiettivi comuni. Tra questi c’è, innegabilmente la fine dell’Unione europea e la nascita dell’Europa delle Nazioni. Un’ipotesi che piace anche a Trump per ragioni legate alla sua idea di commercio internazionale e di ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Parlare con tanti Paesi relativamente piccoli, benché alleati e amici, è molto diverso rispetto all’ avere a che fare con un blocco a guida tradizionalmente franco-tedesca, non alleato “naturale” di Washington.
Chi ha amicizie ungheresi, per ragioni di origine, è Sebastian Gorka, analista di intelligence e militare, membro dello staff presidenziale per la sicurezza nazionale con il titolo di vice-assistente del presidente. Di origini ungherese, Gorka è nato e cresciuto in Gran Bretagna, ha vissuto in Ungheria dal 1992 al 2008 e dal 2012 è un cittadino naturalizzato americano. Gorka è uscito sui giornali per essere stato fotografato con una spilla del regime filo nazista degli anni della Seconda Guerra mondiale, che lui, spiega a BreibartNews indossa per ricordarsi da dove viene – «un Paese che ha vissuto le tragedie nazista e comunista». C’è però un’inchiesta che ha verificato suoi legami passati, negli anni in cui ha vissuto in Ungheria, con membri di gruppi di estrema destra e spesso anti-semiti che sono poi confluiti in Jobbik. La cosa non stupisca: Gorka è un sodale di Steve Bannon, ha scritto spesso su Breibart News ed ha scritto diversi articoli molto amati dalla gente di alt-right. Un buon canale con l’Ungheria di Orban.
Giorni fa, prima che il vicepresidente Pence, alla conferenza di Monaco, ribadisse la centralità dell’Alleanza atlantica (ma senza parlare di Europa), Steve Bannon incontrava l’ambasciatore tedesco negli Stati Uniti per spiegargli che la sua visione del mondo prevede la fine di quel blocco disfunzionale che ha il suo centro a Bruxelles e l’avvio di relazioni bilaterali.
La questione è importante per una ragione cruciale: quest’anno si vota in Francia, Olanda e Germania e gli Stati Uniti sembrano impegnati, sebbene in forma più moderata e timida della Russia, a sostenere i candidati dell’estrema destra che rispondono al credo sull’Europa delle Nazioni di Bannon – espresso tra l’altro in maniera inequivocabile durante una conferenza skype fatta durante un convegno in Vaticano nel 2014.
A proposito di Roma, Breibart News ha un suo corrispondente anche in Italia, si tratta di Steve Williams, ex prete, oggi professore in un collegio cattolico, consulente di Mel Gibson per il film sulla Passione di Cristo, sul set del quale ha conosciuto Bannon. Williams, meno estremo di Bannon, fa da tramite, a modo suo e in maniera non ufficiale, tra il Vaticano e lo stratega cattolico del presidente Trump (qui una interessante intervista di Viviana Mazza dal Corriere della Sera).
E sempre a proposito di Italia, quando è stata fotografata nel caffè della Trump Tower, Marine Le Pen era in compagnia di George “Guido” Lombardi, immobiliarista che vive al piano di sotto del presidente nella Trump Tower, amico di Berlusconi e Bossi, e che sostiene di essere stato il tramite tra il candidato e tutti i leader della destra che volevano incontrarlo. Lombardi avrebbe fatto il fixer e anche gestito operazioni di propaganda sui social non direttamente collegate alla campagna. Quanto ci sia di millantato credito e quanto di vero non lo sappiamo: la campagna Trump non ha mai risposto sul ruolo di Lombardi, ma lui ha parlato molto ai media americani e italiani. E nessuno lo ha smentito.
Lombardi dice anche di essere un membro della Lega. Cogliamo l’occasione per concludere quindi con Matteo Salvini, che è riuscito a scattarsi una foto con Trump ed è andato ai comizi del presidente. Anche Salvini fa gran tifo per Putin, Le Pen e il presidente Usa e da loro sta copiando, ricalcando passo passo le campagne dei suoi sodali. Eppure sembra essere portato meno in palmo di mano rispetto agli altri: forse perché più piccolo e meno determinante, forse perché in Italia c’è anche il Movimento 5 Stelle. Fatto sta che il buon Matteo si trova a dover scattare foto come quella qui sotto con i consoli americano e russo a Milano. Dell’incontro in Germania con i dirigenti dell’AfD tedesca, Geert Wiilders, Le Pen e gli austriaci non c’è nemmeno da dire. Quel che è interessante è quanti contatti ci siano e come, tutti, ma proprio tutti, tendano ad avere relazioni speciali con Mosca. Ma su questo si dovrebbe scrivere un altro articolo, altrettanto lungo: Com’è cambiato il mondo dopo il 1989.
Con i rappresentanti diplomatici di Russia, Alexander Nurizade, e USA, Adam Leff. Onorato di fare la mia parte per la pace e la sicurezza. pic.twitter.com/v5fdJEeQQm
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 20 febbraio 2017