L'unione dei due gruppi parlamentari è qualcosa in più di un’unione di convenienza, che fa i conti con i regolamenti d'aula. C’è un percorso politico dietro, che porterà a una sola lista alle prossime elezioni

C’è da dire che l’unione serve anche a rimediare alla scissione che ha più che dimezzato il gruppo di Sinistra italiana, con l’ex capogruppo Scotto e altri colleghi andati incontro ai bersaniani usciti dal Pd. Che quattro deputati di Possibile lascino il gruppo misto e vadano ad allargare quello di Sinistra Italiana (diventato Sinistra Italiana e Possibile), è però qualcosa in più di un’unione di convenienza, che fa i conti con i regolamenti parlamentari. C’è un percorso politico dietro, un percorso che vi abbiamo già raccontato su Left, anticipandovi la scelta dei gruppi, e che porterà a una sola lista alle prossime elezioni.

Lo dicono ormai da tempo, d’altronde, Nicola Fratoianni (appena eletto segretario di Sinistra Italiana) e lo stesso Civati, che da mesi ha assunto per sé il ruolo di collante. Il primo cita il modello di Podemos, per spiegare che l’unione si può fare anche senza esser ossessionati dall’idea di fondare un solo partito: «Podemos governa Madrid e Barcellona con delle coalizioni sociali, dei progetti di cui Podemos è solo un pezzo», dice. Sorvolando sul fatto che entrambi pensano alla loro formazione come il centro del progetto, lo stesso pensa Civati, con il suo Possibile che ha approvato con il voto del 92,77 per cento degli iscritti l’unione dei gruppi perché, scrivono in una nota, lo si può fare in autonomia. E quella dei gruppi, «Pur mantenendo l’autonomia dei rispettivi partiti», è «una questione di coerenza prima ancora che di scelta, di razionalizzazione prima ancora di unità».

La posizione, ancora – per spostarsi fuori dal parlamento – è la stessa di Rifondazione comunista di Paolo Ferrero e Eleonora Forenza, l’unica europarlamentare eletta con la lista Tsipras di cui ancora si hanno notizie. Ferrero – che da aprile non sarà più segretario – si spende da anni per l’idea della federazione. Per entusiasmarsi, certo, bisogna un po’ accontentarsi, forse, sicuramente evitare di pensare ai fallimentari precedenti (la stessa lista Tsipras, ma anche l’Arcobaleno), e bisogna per un attimo non pensare che l’azione di Bersani e Pisapia rischia di toglier acqua in cui nuotare. Ma l’idea sarebbe adesso quella di render il tutto più partecipato e stabilire delle pratiche comuni che tengano tutti stretti non solo in funzione di una soglia di sbarramento.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.