Alla Camera è cominciata la discussione generale sul biotestamento. Immancabile c'è chi paventa un "rischio Svizzera". Che però, con la sua legge civile, resta in realtà lontanissima, perché qui non si parla né di eutanasia né di suicidio assistito

«Stiamo aprendo la strada al suicidio assistito», è la denuncia di Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia. «Sarebbe stato più onesto dire che è una legge sull’eutanasia», ha invece messo agli atti Giuseppe Fioroni, ex ministro, cattolico del Pd, dicendo anche lui la sua sulla legge arrivata alla discussione in plenaria alla Camera dei deputati. Entrambe le affermazioni – opinioni lecite, per carità – sono però appunto opinioni, perché la legge non è né una legge sull’eutanasia, né una legge sul suicidio assistito.

Non è una legge sull’eutanasia attiva, che è quella permessa, ad esempio, in Lussemburgo o in Olanda, dove è il medico a iniettare una soluzione letale nel paziente che abbia espresso la volontà di mettere fine alla propria vita. Non è neanche una legge sul suicidio assistito, che è quello a cui è ricorso Dj Fabo, per stare al caso mediatico più recente, accompagnato in Svizzera dal radicale Marco Cappato, leader dell’associazione Luca Coscioni. Per Dj Fabo è stato preparato, da un medico, un farmaco letale che però lui stesso si è iniettato, premendo un pulsante con la bocca.

La legge che sta discutendo la Camera è invece una legge sul testamento biologico. Ed è il minimo sindacale, anche se c’è chi, come la deputata Titti Di Salvo, la difende, pur avendo depositato un testo sull’eutanasia. Quello che il nostro Paese farebbe se il Parlamento approvasse il testo in discussione, dice Di Salvo a Left, sarebbe insomma «un avvicinamento importante», «l’applicazione per nulla scontata ma dovuta della Costituzione». Per altri è solo la fotografia, pur importante, di quanto già accade in Italia, tra informalità e cure palliative – come nota il ginecologo Silvio Viale, anche lui radicale, di Exit-Italia. Ma tutti accettano la logica del primo passo.

Se la legge dovesse esser approvata, almeno, in Italia si potranno registrare le proprie “Dat”, le dichiarazioni anticipate sui trattamenti sanitari, decidendo – se maggiorenni e nel pieno delle facoltà mentali – in merito alle terapie che si intende o non intende accettare, compresa (ricorderete il caso Englaro) idratazione e alimentazione. Si dovrà anche indicare un fiduciario, e il medico dovrà rispettare questo consenso.

È un passo avanti? Vedete voi. Tanto – se la Camera approverà, come scommettono i più, entro una decina di giorni – lo scoglio, inevitabilmente, sarà al Senato. Sempre che il Pd non decida di spingere.

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.