Fino al 14 maggio la mostra “Schedati, perseguitati, sterminati” indaga le radici culturali della soluzione finale ideata dai nazisti e messa in atto anche dai fascisti. Una mostra importante che vede per la prima volta la società italiana di psichiatria fare i conti con il proprio passato

Perseguitati, schedati , sterminati è il titolo di una importante mostra fotografica e documentale aperta a fino al 14 maggio nella sala Zanardelli del Vittoriano a Roma. Un titolo lapidario che sbarra la strada ad ogni tentativo revisionista mentre il percorso espositivo, frutto della collaborazione di istituzioni medico psichiatriche a livello internazionale offre una ricostruzione storica di ciò che avvenne sotto il nazifascismo, e – soprattutto nella sezione tedesca, su richiesta delle stesse famiglie – ricompaiono i nomi, i volti, le storie delle persone affette da malattie psichiatriche che furono uccise nei lager, perché giudicate improduttive, un peso per la società, secondo una lucida e disumana logica nazista. L’esposizione non si accontenta di ricostruire l’accaduto, ma -ecco il punto che a noi è sembrato più importante – cerca di indagare le radici culturali di ciò che è accaduto . Per la prima volta qui la Società italiana di psichiatria fa pubblicamente i conti con il proprio passato.

Sul numero di Left in edicola da sabato 18 a farci da guida in questa mostra che ha già fatto tappa in altre città europee ed extraeuropee è la psichiatra e psicoterapeuta Annelore Homberg, presidente della Netforpp Europa, che ha collaborato alla realizzzione della sezione italiana.  «La nostra ricostruzione della storia ha che fare con una lunga ricerca. Per esempio, quando si dice che lo sterminio nazista è incentrato solo sull’antisemitismo, secondo me, si racconta soltanto una parte, per quanto assolutamente colossale, tragica, di questa storia. Il punto cardine è l’annullamento nazista di altri esseri umani, che non sono più visti e percepiti come tali e uguali. L’annullamento degli altri da parte del nazionalsocialismo riguardò anche i cittadini tedeschi non ebrei .La mostra fa vedere una sfaccettatura che all’estero è poco conosciuta». Continua su Left in edicola.

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