Otto arresti sono stati effettuati stamane a Birmingham, la città a più alta intensità di popolazione pakistana della Gran Bretagna. Gli arresti sono connessi all’attacco terroristico di Westminster, ma, dicono le autorità, non ci sono pericoli o minacce in atto. L’auto la guidava Khalid Masood, 52 anni, che viveva nelle West Midlands, era nato nel Kent e aveva precedenti penali di vario ordine, l’ultimo risalente al 2000. L’attentatore, fanno sapere gli inquirenti, era nato in Gran Bretagna, era stato indagato dai servizi dell’MI5 per legami con ambienti estremisti islamici ma non era parte delle reti note o sotto la lente in questa fase specifica. Si tratta di una notizia importante.
A Birmingham vivono circa 150mila persone di origine pakistana e 30mila bangladeshi e in città – come solo a Londra – l’attività di reclutamento dei terroristi dell’Isis è intensa tra le seconde e terze generazioni. Come ha detto il commissario capo della polizia cittadina a The Guardian in una vecchia intervista ripresa stamane dal quotidiano britannico: «Il concetto di califfato sta affascinando la gente. E penso che ci sia una maggiore sofisticazione di approccio a radicalizzare le persone con mezzi digitali, e penso che ha cambiato il volto della sfida che abbiamo affrontato negli ultimi anni con al Qaeda».
Non sappiamo ancora chi fosse l’attentatore, ma queste parole sono importanti per una ragione semplice: l’Isis non si organizza necessariamente in cellule terroristiche e reti ma recluta singoli e li convince o spinge a compiere attacchi suicidi anche da soli – la strage di Nizza il 14 luglio scorso e e l’attacco al mercato di Natale a Berlino sono i casi recenti e simili tra loro e a quello di Westminster.
Perché è importante? Perché in questi giorni l’amministrazione Trump difende un bando per le persone che vengono da alcuni Paesi a maggioranza musulmana. Perché Gran Bretagna e Stati Uniti vieteranno alle persone provenienti da un numero più alto di Paesi di portare telefoni cellulari e pc portatili sugli aerei. E perché in questi mesi le campagne elettorali die vari Le Pen, Salvini e altri partiti xenofobi ci dicono che il problema sono gli immigrati che provengono dai Paesi a maggioranza musulmana, i siriani. L’Ukip, il partito della destra xenofoba e anti europea britannica, stamane, ha diffuso un comunicato che accusa i governi europei di aver favorito l’immigrazione di massa e, con questa il terrorismo. Le notizie che vengono da Birmingham fanno il paio con quelle relative agli attentati degli anni passati. Abbiamo messo in fila qualche dato relativo agli attentati.
- Il 24 maggio 2014 Mehdi Nemmouche, 29 anni già foreign fighter in Siria uccide 4 persone al Museo ebraico di Bruxelles. Nemmouche ha origini algerine ed è nato in Francia. Aveva passato 5 anni in carcere dopo essere stato condannato per reati minori e gravi (rapina). Le comunicazioni precedenti all’attacco indicano come fosse in contatto con il belga-marocchino Abdelhamid Abaaoud, a sua volta foreign fighter e membro dell’Isis e parte o organizzatore in diversi attacchi falliti o portati a termine, compreso quello spettacolare e sanguinoso del 13 novembre 2015 a Parigi. Abaaoud è stato ucciso dalla polizia nel raid di Saint-Denis, nella periferia di Parigi, cinque giorni dopo durante un raid. Era cresciuto a Molenbeek e nel 2010 era stato arrestato per un tentativo di furto assieme a Salah Abdeslam, a sua volta cresciuto in Belgio, ma di nazionalità francese. Entrambi avevano un passato da piccoli criminali. In generale, dei 9 componenti accertati della cellula terroristica di Bruxelles, coinvolta in vari attacchi, compresi quelli all’aeroporto di Bruxelles, sette erano nati in Europa.
- I fratelli Kouachi, parte del commando entrato nella redazione di Charlie Hebdo, Hayat Boumeddiene, la donna che si sospetta fosse complice di Amedy Coulibaly e che è ancora latitante, e Coulibaly stesso, a sua volta ha partecipato agli attacchi l’8 e il 9 gennaio 2015, avevano tutti discendenza algerina o maliana, precedenti penali ed erano nati in Francia.
- I quattro attentatori suicidi della serie di attacchi nelle stazioni della metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 erano tre di origine pakistana, ma nati in Gran Bretagna e uno nato in Giamaica e poi convertito. Il 21 luglio un altro tentativo di far esplodere bombe nella metro londinese fallì. I quattro arrestati, di origine somala ed eritrea, erano entrati in Gran Bretagna da bambini sotto i dieci anni.
- Gli attentatori di Nizza, del mercato di Natale di Berlino e di Madrid nel marzo 2004 erano nella maggior parte dei casi nati fuori dai confini europei.
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Cosa ci dicono i dati relativi agli odiosi attacchi terroristici degli ultimi anni? Semplice, che le persone che li hanno compiuti non erano, per la maggior parte, immigrati coinvolti nell’ultima lunga ondata di migrazione verso l’Europa. Certo, erano musulmani, ma erano cittadini di Paesi europei figli dell’immigrazione proveniente dai Paesi delle ex colonie. Figli insomma di quell’immigrazione che i governi di ogni ordine e grado hanno incoraggiato negli anni del boom economico e ’70 e stipato in quartieri difficili, senza pensare all’integrazione. Il discorso è complicato, rimanda al tessuto sociale, alla scuola, alle galere dove i giovani criminali si convertono e vengono avvicinati, ai quartieri.
Poi c’è l’aspetto storico e geopolitico: dopo l’11 settembre – e persino prima con l’invasione sovietica dell’Afghanistan – l’Occidente ha condotto una lunga guerra al terrorismo. Questa non ha fatto altro che alimentare la propaganda, far crescere popolazioni in un clima di guerra e creato le opportunità per addestrare combattenti. Per combattere il terrorismo, e bisogna combatterlo, serve un lavoro lungo e lento. Le guerre, i divieti, le chiusure sono invece ciò che lo alimentano e lo hanno alimentato. Sono ciò che l’Isis cerca e vuole.