Domani il capolavoro di Roberto Rossellini al cinema Aquila a Roma, a pochi metri da dove venne girata la famosa scena di Anna Magnani. Ecco la storia di un film girato con mezzi di fortuna. E all'incontro ci sarà anche Renzo Rossellini

Il volto, e il corpo di Anna Magnani sono un fascio di nervi tesi quando dà lo schiaffo al soldato tedesco che tenta di bloccare lei ed altri abitanti nel cortile del palazzo di Via Montecuccoli. Di fronte alla retata dei nazisti, di fronte al suo uomo che sta per essere fatto salire nel camion, la sora Pina, scatta, si divincola e corre fuori del portone chiamandolo.  “Francesco, Francesco, Francesco”. Quell’urlo è ormai indelebile. Così come quel colpo di mitraglietta che ferma per sempre la corsa della donna.

Ogni volta che scorrono quei fotogrammi di Roma città aperta è impossibile non provare dei brividi. La guerra, il senso di ingiustizia, il dolore. Tutto affiora con una immediatezza e una potenza espressiva tali che fanno di quel film girato mentre ancora la guerra era in corso non solo un capolavoro del cinema ma anche un documento di memoria e umanità. La decisione di Roberto Rossellini di girare un film sulla Resistenza e sulla guerra a pochi mesi dalla fine dell’occupazione nazifascista della città fu davvero geniale. Una sorta di dovere etico, il suo, contribuire cioè con l’arte affinché la memoria rimanesse viva, perché non si potesse più cancellare quello che era accaduto in quei terribili mesi di occupazione nazista a Roma. E questo si respira nel film, nei volti delle comparse, uomini, donne e bambini che in qualche modo hanno recitato se stessi.

In attesa del 25 aprile, per la cui celebrazione si accendono di nuovo le polemiche – a Roma la comunità ebraica e il Pd romano non parteciperanno al corteo dell’Anpi – vale la pena quindi riprendere un po’ il filo della Storia e cercar di comprendere che cosa siano state la lotta di Liberazione e la violenza della guerra in Italia.

I personaggi principali, la Sora Pina (Anna Magnani) e il sacerdote (Aldo Fabrizi) si ispirano a persone realmente vissute, vittime della violenza nazifascista. A colpire i  romani era stata la fine di Teresa Gullace, una donna romana madre di cinque figli e incinta del sesto che voleva avvicinare il marito imprigionato nella caserma di Via Giulio Cesare. Lui era alla finestra, forse lei voleva solo parlargli o portargli del cibo, fatto sta che un soldato tedesco le sparò a bruciapelo, uccidendola. Era il 3 marzo 1944. All’assassinio assisterono alcune partigiane che erano davanti alla caserma come Laura Lombardo Radice e Carla Capponi. La stessa Laura Lombardo Radice e Pietro Ingrao scrissero un manifesto dopo l’accaduto. Teresa Gullace diventò ben presto un simbolo della Resistenza romana.

Ma torniamo al film. Si cominciò a girare a febbraio 1945 e venne ultimato a settembre dello stesso anno. Doveva essere all’inizio un documentario su don Morosini, il prete ucciso da nazisti nel 1944. Ma grazie agli sceneggiatori che affiancarono Rossellini, tra cui Federico Fellini e Sergio Amidei, il film sviluppò un racconto fluido in cui entrarono altre storie parallele che insieme restituiscono un quadro vivo della Roma sotto i nazisti. Così ci sono i popolani, gli eroi, i partigiani, ma ci sono anche le donne “perdute” conniventi con il regime. E c’è lei, la Sora Pina, una Anna Magnani vulcanica, passionale come non mai, che stava vivendo proprio durante le riprese del film, una travolgente storia d’amore con Roberto Rossellini. Interrotta tre anni più tardi per l’arrivo nella vita del regista di Ingrid Bergman, la quale, ironia della sorte, aveva scritto la famosa lettera a Rossellini – in cui aveva ammesso di conoscere in italiano solo le parole “ti amo” – , dopo aver visto Roma città aperta e Paisà, l’altro film manifesto del neorealismo uscito nel 1946.

Il film venne girato tra mille ostacoli. Le macerie ancora per le strade, la pellicola che scarseggiava, e poi anche i finanziamenti che vennero a mancare. Fu un commerciante di lana, Aldo Venturini, a dare una mano al regista e permettergli di realizzare quello che sarebbe stato considerato un capolavoro del cinema, vincitore nel 1946 del Grand Prix al festival di Cannes. Il titolo venne mutuato dalla quarta Convezione dell’Aja del 1907. Secondo quel regolamento “città aperta” significa città priva di obiettivi militari e di difesa in cui non sono ammessi attacchi e bombardamenti, né tantomeno la violenza bellica al suo interno. Regole che i nazisti e i repubblichini di Salò violarono a più riprese.

Domani 21 aprile il film di Roberto Rossellini nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna verrà proiettato al cinema l’Aquila (Via l’Aquila 66) nel quartiere Pigneto, a Roma. A promuovere l’evento (dalle ore 19) il centro di documentazione Maria Baccante, Archivio Viscosa e Scca, Spazio comune Cinema L’Aquila, in collaborazione con il Museo storico della Liberazione. Alla proiezione saranno presenti Renzo Rossellini, figlio del regista e uomo di cinema e grande produttore e Antonio Parisella, presidente del Museo storico della Resistenza.

Infine, una curiosità: Via Montecuccoli è a due passi dal cinema Aquila. Chi vuole può andare a vedere un luogo diventato famoso. Il portone da cui usciva correndo Anna Magnani è ancora lì, molto più curato naturalmente di quando venne girato il film. Allora l’intonaco dei muri era vecchio e sbrecciato, ma appena si nota perché l’attenzione è tutta su quei volti di uomini, donne e bambini dolenti, indimenticabili. È anche questa la Storia. Da non dimenticare.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.