Che utilizzino la ruota dell’Inquisizione o i social network, il loro scopo è sempre attaccare la vitalità della vittima, far collassare la sua identità più profonda

Chi siamo noi psichiatri per parlare di tortura? Per denunciare cioè la pratica di colui che agisce violenza su un altro essere umano e non una violenza rapida, veloce e limitata nel tempo, nel concetto di tortura vi è insito infatti il riferimento ad una violenza esercitata in un tempo più o meno lungo. E non solo. Vi è anche qualcosa di più specifico altrimenti il torturatore sarebbe solamente una sorta di assassino o aggressore che, magari per sadismo perverso, magari per una vendetta così a lungo covata che richiede tempo per essere soddisfatta, prolungherebbe il rapporto violento con la vittima disegnata.

Non è così. Il torturatore propriamente detto sdegnerebbe di essere paragonato ad un banale assassino o avvicinato ad un volgare aggressore; il suo fine non è un omicidio o una lesione fisica al rallentatore, il suo fine è altro. Il suo fine è distruggere la salute mentale della vittima, il fine del vero torturatore, che utilizzi la ruota dell’Inquisizione o la chat di un Social Network, è fare cedere la mente e l’identità di colui che è oggetto della sua violenza. Violenza che, direttamente o indirettamente agendo sulla realtà materiale di un altro essere umano, mira alla realtà non materiale della vittima. E allora ritorna la domanda iniziale: chi siamo noi psichiatri per parlare di tortura?

Noi che siamo gli eredi di quegli inquisitori che ricorrevano a sofisticati mezzi di tortura per conoscere le vere idee di una eretico o per scoprire una complicità col demonio. E gli inquisitori non erano cattivi, era solo una questione di fare diagnosi accurate, per meglio combattere il Male! Noi che siamo gli eredi di quegli psichiatri che dalla prima metà dell’800, il periodo così detto romantico, ricorrevano a castighi corporali, umiliazioni, spaventi improvvisi e sedie girevoli (il frullone) per curare la mente alterata dei pazzi alienati. “Terapia morale” si chiamava, mossa da intenti pedagogici e volta a raffreddare i bollenti spiriti, come con le docce gelate.

E gli psichiatri morali non erano cattivi, era solo una questione di fare terapie efficaci per meglio combattere l’insania morale! E invece forse sì, della tortura, noi psichiatri odierni, dobbiamo parlare. Perché noi oggi possiamo studiarne l’essenza, il meccanismo d’azione specifico per meglio contrastarne gli effetti. La teoria della nascita di Massimo Fagioli ci ha condotto a conoscere il valore concettuale del termine vitalità mentre la quarantennale prassi da lui svolta nell’analisi collettiva ci ha portato a mettere quotidianamente sotto la lente d’ingrandimento la realtà concreta di essa.

La vitalità, capacità di reagire adeguatamente agli stimoli provenienti da un altro essere umano, è, alla nascita umana, il primo effetto della pulsione nei riguardi della stessa realtà da cui essa è scaturita per reazione alla luce: la realtà biologica e la sua capacità di reagire a stimoli materiali, grazie alla pulsione, si trasforma, diventa umana e non è più solo realtà materiale ma “corpo nuovo”. Ebbene qui agisce la tortura, questo è il punto di attacco per la tortura.E non è un attacco al corpo per semplicemente distruggerlo e annientarlo o un attacco alle idee per dimostrarne logicamente la fallacia; non è una micidiale raffica di mitra e nemmeno una spietata confutazione logico-razionale. Molto più sottile è lo scopo della tortura.

Essa mira a ledere, fiaccare la vitalità affinché essa, cedendo del tutto, non faccia più da ponte tra la realtà materiale e quella non materiale dell’essere umano. Affinché l’umano, ridotto a corpo capace solo di reagire a stimoli materiali e produrre ricordi materiali che servono alla mente per elaborare pensieri razionali, sia scisso dalla sua origine che aveva a lui dato in dote la specifica caratteristica che contraddistingue il genere umano, la realtà psichica e finisca per perderla.

Il fine della tortura è esattamente questo: indebolire fino ad abolire il legame tra il sentire e il sapere la verità umana nell’ambito del rapporto interumano, e il percepire e conoscere la realtà materiale, affinché, scindendosi tra loro, la mente razionale per salvare il corpo biologico finisca per rinnegare quel “corpo nuovo” della nascita che aveva dato alla mente non cosciente del primo anno di vita la capacità di immaginare l’esistenza di altri esseri umani eguali a noi. E si finisce per rivelare segreti, per tradire patti, per confessare azioni mai fatte o idee mai pensate; Si diventa traditori sì, ma soprattutto di se stessi e si arriva addirittura a perdere se stessi quando, peggio ancora, si finisce per credere ciò che gli altri vogliono che si creda.

Perché la mente razionale senza più la sapienza interumana di una nascita rafforzata dalla concretezza di una prima storia vitale di rapporto interumano, può credere a qualunque cosa: dalla verginità della Madonna alle promesse di un politico. Ma ecco, a questo punto, proporsi infine un paragone imprevedibile e impensabile ad una visione fenomenologica superficiale, quella dei soli fatti manifesti. L’esito della tortura fisica sulla mente umana è, nei fatti, eguale a quello raggiungibile tramite l’uso perverso del suo esatto contrario: il piacere fisico.

L’uso sistematico della seduzione fisica, il procurare al corpo sensazioni piacevoli per, contemporaneamente, far soffrire la mente, la fantasia, l’identità, al fine di impedire di vedere e di pensare, anzi forse impedire di essere. Fino a che la corruzione della vitalità, il suo appannamento, faccia cessare le sofferenze della mente che, smettendo di sentire, smette anche di cercare di scoprire l’aggressore invisibile e ne diventa anzi colluso.

Il welfare generoso di una società opulenta, la madre solerte e premurosa solo materialmente, la gentilezza ipocrita di un pedofilo fiaccano la vitalità come e forse peggio (in quanto invisibile) della tortura fisica, ma entrambe mirano a scollare la realtà materiale dalla verità non materiale, affinché per salvare il corpo materiale o per compiacere il corpo materiale si rinunci a sentire, pensare e conoscere la verità di un rapporto interumano, si rinunci a difendere la verità di se stessi.

A queste diverse violenze (la tortura e la seduzione) che offrono lo stesso miraggio illusorio e pacificante della scissione ci si può contrapporre solo aumentando sempre più la resistenza della vitalità affinché si sviluppi a tutti i livelli, personale e collettivo, affettivo e intellettuale, quella coerenza tra la percezione della realtà umana e quella della verità umana, propria e altrui. Il manifesto e il latente. La <<…assoluta necessità di superare la scissione tra realtà materiale, sessualità e pensiero, ragione, realtà psichica>> ci è stato ricordato nell’ultimo numero di Left con l’indicazione che la nascita sociale dell’essere umano deve arrivare a completarsi con la dimensione politica. E allora nessuno riuscirà più a farci diventare traditori di noi stessi come nessuno riuscì a costringere il corpo e la mente di Giordano Bruno a rinnegare sé stesso e la propria vita.

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