Oggi, 2 giugno, festa della Repubblica, ricordiamo una storia silenziosa in Italia, dimenticata. È quella delle donne divise tra Resistenza e politica che hanno contribuito a raggiungere la parità giuridica, con il diritto di voto, per la prima volta esercitato il 10 marzo 1946. Dieci autrici – che fanno parte di Controparola, un collettivo di giornaliste e scrittrici nato nel 1992 per iniziativa di Dacia Maraini – hanno dato vita a una serie di ritratti femminili raccolti nel volume edito da Il Mulino Donne della Repubblica.
Si va da Camilla Ravera, irriducibile rivoluzionaria, a Teresa Noce e Ada Gobetti, la partigiana educatrice, e poi Marisa Ombra, Teresa Mattei. Ancora: Lina Merlin famosa per la legge che aboliva le case chiuse; oppure Nilde Iotti, prima presidente donna della Camera, oltreché compagna “clandestina” di Togliatti e Tina Anselmi prima donna ministro. Tutte donne il cui impegno politico per la conquista dei diritti è stato sempre trascurato.
Nulla o poco si sa poi della partecipazione alla Resistenza delle scrittrici Alba De Céspedes e Fausta Cialente. Così come di Renata Viganò, autrice de L’Agnese va a morire. E Anna Magnani è conosciuta come attrice ma non come antifascista accanita, così come sono state ignorate le scelte coraggiose di Elvira Leonardi, detta “Biki” una delle più celebri stiliste italiane o di Giulia Occhini, la “Dama bianca” di Fausto Coppi. Negli anni Cinquanta il divorzio non esisteva e il reato di adulterio e abbandono del tetto coniugale era punito con il carcere.
«Sono tutte figure trascurate o dimenticate che secondo noi valeva la pena ricordare», racconta la giornalista Eliana Di Caro, che ha scritto il profilo di Ada Gobetti e di Tina Anselmi a due mani con Elena Doni.
Ada Gobetti e Tina Anselmi. Perché le ha scelte?
Tina Anselmi l’ho scelta io ma, per esempio, Ada Gobetti mi è capitata casualmente. E sono stata veramente felice perché è stata una vera scoperta. Pensavo che fosse solo la moglie di Piero Gobetti. Invece ho scoperto un personaggio ricchissimo che non aveva nulla da invidiare al marito dal punto di vista intellettuale, del carisma, della condivisione degli ideali.
Perché la definizione di “partigiana educatrice”?
Ada Prospero – che è il suo cognome da ragazza – non solo diventa partigiana e va in montagna con il figlio, lasciando la testimonianza di questi anni resistenziali in quel testo meraviglioso e avvincente che è Diario partigiano, ma una volta tornata, andrà a dirigere il Giornale dei genitori, in cui esprimerà la sua vocazione sociale e pedagogica. Ada sosteneva che i genitori costruiscono il cittadino di domani e hanno un’enorme responsabilità. Naturalmente non poteva mancare il suo impegno per l’emancipazione femminile: contribuisce a creare i gruppi di difesa della donna, diventa vicepresidente dell’Udi ed è stata la prima vice sindaca di una grande città come Torino, subito dopo la guerra.
Tina Anselmi, scomparsa di recente, l’ha invece definita “una donna da primato”. Perché?
Perché i primati di Tina Anselmi sono tanti. Intanto è stata la prima Ministra donna della nostra Repubblica. Un dicastero davvero importante il suo, perché diventa ministro del Lavoro nel 1976 e, come ripeto in tutte le presentazioni senza stancarmi mai, se oggi, nel settore pubblico, un uomo e una donna hanno la stessa retribuzione, lo dobbiamo alla sua legge sulla parità salariale e di accesso al mondo del lavoro. Come dico sempre, non è un caso che questa legge l’abbia firmata una donna e che si sia aspettato purtroppo il 1977 per farlo. Parliamo di una conquista epocale anche se purtroppo nel settore privato ancora oggi siamo lontani da quella che dovrebbe essere una misura scontata.Tina Anselmi è stata poi ministra della Sanità e come tale ha firmato la legge per il Servizio sanitario nazionale e la legge sull’aborto. Poi un’altra donna, la presidente della Camera Nilde Iotti, le affidò un compito spinosissimo, la Presidenza della Commissione di inchiesta per la P2 e lei se ne occupò in maniera rigorosissima, con la schiena dritta e senza mai abbassare la guardia, in assoluta solitudine. In quel momento, purtroppo, cominciò la sua fase discendente da un punto di vista politico, perché fu lasciata sola anche dal suo partito e nel 1992 fu sconfitta alle elezioni politiche. Tina, fin dal 1968 era stata votata in Parlamento ininterrottamente e fu proprio con la vicenda della P2 – come mi ha raccontato la sorella – che ha cominciato ad ammalarsi. Però la società civile, la gente comune, non l’ha mai abbandonata, le ha sempre tributato grandissima stima, tanto che proprio dai semplici cittadini è partita la richiesta di candidarsi alla Presidenza della Repubblica.
Nella storia di queste donne c’è un denominatore comune che fa riflettere. Tutte hanno combattuto il fascismo, ma tutte hanno dovuto combattere ancora di più i pregiudizi più feroci proprio all’interno dei loro rispettivi partiti, soprattutto a sinistra e soprattutto nel Partito comunista.
Si, questo è assolutamente vero. Sappiamo tutti che il Pci, alla fine, era un partito-chiesa tanto quanto lo era la Dc. Un partito molto conservatore. Lo sappiamo, per esempio, dalla biografia di Nilde Iotti costretta ad una vita da concubina nell’abbaino di Via della Botteghe Oscure. C’è da dire che le donne hanno portato avanti lotte che magari non si sono sempre tradotte immediatamente in successi, che invece sono arrivati con gli anni a venire. Mi viene in mente per esempio la battaglia per l’ingresso in magistratura. Fu Teresa Mattei a proporre subito un emendamento all’art. 51 della Costituzione che recitava le pari opportunità tra uomini e donne. Ma fu bocciato a scrutinio segreto. Si pensava comunemente che le donne non avessero l’equilibrio necessario per poter svolgere questa professione. Ci sono i verbali di quelle sedute, veramente indegni. Si è dovuto aspettare il 1963 per permettere alle donne l’accesso in magistratura.
Scorrendo il libro, ci troviamo di fronte a donne tenaci, coraggiose e intelligenti, ribelli e moderne. Teresa Mattei, che è scomparsa nel 2013, per tutti “Chicchi” durante la Resistenza, ne è un esempio brillante e anche poco conosciuto. La “maledetta anarchica” come la chiamava Togliatti, la si ricorda quasi esclusivamente perché è sua l’invenzione della mimosa come simbolo per la festa delle donne.
Mi è sempre piaciuto e affascinato il suo atteggiamento nei confronti della vita – spiega Chiara Valentini, autrice delle pagine del libro dedicate a Teresa Mattei. L’ho scelta per questo, era una donna che aveva il coraggio di dire “no”. No all’insegnante del liceo che aveva elogiato le leggi razziali. No a Togliatti, di cui non condivideva la politica stalinista. No a un Pci moralista e bigotto: quando scoprirono che era rimasta incinta di un uomo sposato le chiesero di abortire perché quella gravidanza era imbarazzante per il partito. Lei volle tenere il bambino e a Togliatti che le chiedeva cosa pensava di farne della sua vita con un figlio illegittimo, lei rispose che avrebbe rappresentato in parlamento tutte quelle donne che vivevano la sua stessa condizione.
Articolo pubblicato su Left del 27 maggio 2017