Le basta una chitarra per riempire la scena, insieme a una folta chioma nera, un timbro vocale soul, anche blues, chissà magari un giorno rap. Lei è Marianne Mirage, all’anagrafe Giovanna Cardelli, ma desiderava avere un nome magico, onirico, sottolinea. Come i grandi, i suoi idoli, e che idoli. Bob Dylan, a esempio, che in realtà ha un nome impronunciabile, ma anche Édith Piaf: «La Marianne, simbolo di libertà, quella della Francia, poi il mirage, come qualcosa che non esiste, ma che si palesa sul palco». Mi sembra di essere accanto a lei, in viaggio verso Bergamo, per suonare stasera. È contenta come una ragazzina, quando si esibisce in pubblico, le permette di raccontare di sé, dei suoi viaggi, e poi le lingue, le sue mille passioni. Classe 1989, l’anno della caduta del muro. Nasce a Cesena, per tanti anni vive a Forlì, da due anni si trova a Milano. In casa sua, un padre pittore per diletto, che amava dipingere mentre ascoltava musica di tutti i tipi: dal jazz, alla musica greca a quella turca: «Generi differenti, che sono entrati nella mia testa fin da piccola e hanno fatto sì che mi sentissi sempre a mio agio e a casa in qualunque posto del mondo». Per questo la musica che le piace, che fa, non ha confini e non è solo in lingua italiana. Cresce con due genitori che viaggiano, vanno per mare, in barca a vela, per isole esattamente, anche se lei poi tende a fare l’isola: «Sono amante della solitudine, della solitudine produttiva, quella che ti fa amare le piccole cose e quindi la musica è entrata nel mio linguaggio. Da piccola andavo a scuola, ma tenevo sempre la mia chitarra nell’armadietto, all’intervallo suonavo. Ho cominciato a suonare i Nirvana, la prima canzone l’ho scritta a 12 anni in inglese, poi ho avuto il primo complesso a scuola, di musica jazz». Cresce e continua a viaggiare da sola: cattura il mondo e lo tramuta in canzoni; la valigia è sempre pronta. Poi un giorno la chiamano alla Sugar e lei si presenta con la sua chitarra e con una sessantina di canzoni, per non sbagliare: “Pensavo fosse andata malissimo, pensavo già di andarmene a vivere in Francia, come se nulla fosse, poi invece dopo una settimana Caterina Caselli mi ha chiesto di lavorare insieme”. Qualche tempo dopo, in casa discografica gira un pezzo interessante, l’ha scritto Francesco Bianconi (insieme a Kaballà ndr), si intitola Le canzoni fanno male. A Sanremo giovani viene eliminata subito, ma il pezzo è bello e dà il titolo al suo nuovo album ancora acerbo nei testi, ma godibile. Marianne non ostenta, non osa, la sua voce, già convincente in Quelli come me, il precedente lavoro, è sincera, profonda, emozionante. Un’artista poliedrica, che cura interamente la sua immagine e le coreografie, come quella del video per il brano sanremese. Il viaggio in auto è ancora lungo e parliamo, parliamo.
Sei sempre in viaggio, che poi è un po’ la costante, il segreto, della tua formazione sia umana sia artistica.
Più umana, direi, ma anche artistica. Diciamo entrambi, io sono molto autobiografica. Tutte quelle che sono le mie esperienze le metto nella musica, anche l’idea di cantare in diverse lingue non deriva dalla mia esperienza, ma dalla mia sensibilità nei confronti della musica.
Sei autrice di tutte le canzoni che canti, che però non sono solo in italiano.
In realtà, tutte le mie canzoni nascono in inglese e poi le traduco in italiano, anche Corri, la canzone che ha scelto Pupi Avati per il film della Rai per la tv che uscirà tra poco, Il fulgore di Dony, è nata in lingua inglese. La mia scrittura è in inglese, traduco ogni sillaba nello stesso modo e sono arrivata anche ad amare molto anche il francese perché ho amato artisti come Édith Piaf, Yves Montand;
Però per Sanremo avevi un brano scritto dal “leader” dei Baustelle.
La canzone girava negli studi, non era per me. Appena l’ho sentita, l’ho voluta subito cantare, provinare e far sentire a Bianconi. Lui mi ha voluto conoscere e per me era già un enorme piacere; sono contenta che me l’abbia affidata e che sia rimasto colpito dal mio modo di cantarla. Da lì è nata anche un’amicizia, stiamo scrivendo delle cose insieme.
Canti che le canzoni fanno male, soprattutto quelle con la rima “cuore, amore”, ma le altre che formano l’EP in fondo sono canzoni che parlano anche di amore.
Premetto che con questo album ho voluto raccontare la mia crescita artistica, che è anche un po’ una ricerca del suono. Ne “L’ultima notte”, che sembra la classica canzone pop, in realtà ci sono voce e pianoforte e un’elettronica bit intesa come quasi rap che sostiene il ritornello, dico che ogni storia d’amore ha una scadenza. In Tutte le cose ci sono il graffio e la carezza di ogni storia d’amore. Un’altra estate parla di tutte le contraddizioni dell’amore.
Insomma, poco “cuore e amore”.
Sono note agrodolci quelle che ritrovo nelle storie d’amore che racconto, non c’è mai un lieto fine, in fondo sono sempre stata lasciata, non ho mai vissuto la “beatitudine” dell’amore.
Quali sono le canzoni che ti hanno fatto male?
Sono tantissime, per questo ho scelto di parlarne. Se faccio questo mestiere è perché ho sempre sentito tanta musica che mi ha sempre condizionato.
Musicalmente a chi ti senti vicina?
Idealmente ai Doors, a Jim Morrison, ai cantanti maschi o alle cantanti donne che avevano una grande personalità come Billie Holiday, Nina Simone, ancora la Piaf.
I gusti più attuali?
Mi piace molto la musica di Sampha, degli XX; ascolto molto rap, per esempio Action Bronson. Ho gusti diversi, credo anche che la mia musica sia una contaminazione di generi, non affronto mai un genere solo.
Una canzone d’amore che ti piace?
(sospiro)…Tantissime, mi piace molto Tac, di Franco Califano, perché dice “…io mi accorgo che ci sei proprio quando non ci sei e allora ti vorrei”, ci ritrovo, appunto, quella nota agrodolce di cui non potrei mai fare a meno.
Ti potremo vedere live?
Quest’estate sarò sempre in tour, in tutta Italia (in agosto, in provincia di Messina, anche con Brunori Sas! ndr). La dimensione live è quella che preferisco, mi piace stare con il pubblico: sui miei social ci sono tutte le info! Io sono molto social e mi piace condividere i momenti sui palchi con le immagini.
Stai pensando a un prossimo lavoro?
Sono nella scrittura del nuovo album, ho già tante canzoni che avevo scritto e che sto lavorando.
Cadeva il muro di Berlino e tu nascevi, che racconti hai di quel momento?
Molti! Io poi ho abituato a Berlino per alcuni anni: è bellissimo vedere quella città completamente rinata. Vorrei che la stessa cosa accadesse a Istanbul, adesso.
La cantante si racconta. Dalla passione per Edith Piaf e per le cantanti dalla forte personalità al nuovo lavoro con Bianconi. In attesa di ascoltarla dal vivo. Ad agosto anche con Brunori sas