L’approccio moralistico di papa Francesco ai temi sociopolitici mal si combina con qualsiasi idea di equità e uguaglianza o di tutela dei diritti. Tanto meno con la base laica della nostra Costituzione. Eppure, anche da sinistra, si sprecano le lodi per il pontefice gesuita

Le sinistre, tutte le sinistre, sono innamorate del papa: come degli studentelli con la ragazza più bella della classe fanno a gara tra loro per mettersi in mostra ai suoi occhi, per citarne un concetto, per evocarne la grandezza. Sono divise su tutto le nostre sinistre, ma non sull’ammirazione che nutrono per il pastore cattolico venuto «quasi dalla fine del mondo». I motivi dell’infatuazione non sono facili da individuare, ad eccezione di quello, biecamente opportunistico, di citare, apprezzandolo, un personaggio popolarissimo, nella speranza che parte di quella popolarità ricada anche su chi pronunzia il complimento. Insomma, il ragionamento dei leader delle nostre sinistre finisce per essere pressappoco questo: se la gente ama il papa e io mostro di fare altrettanto, casomai la gente finisce per amare un po’ di più anche me.
Tolto questo, quali altri motivi hanno le sinistre per genuflettersi dinanzi a Francesco? Io francamente non ne trovo. Si dirà: ci sono le sue parole sui temi economico-sociali, la sua predicazione sull’ingiustizia e la sofferenza sociale. Sì è vero il papa parla spesso di questi temi, ma rimanendo rigorosamente, come è ovvio, entro i confini della tradizionale dottrina sociale della Chiesa. Si leggano alcuni discorsi di Ratzinger sulla povertà o si prendano documenti come la Caritas in Veritate (sempre di Benedetto XVI) e si ritroveranno, espresse forse con un linguaggio leggermente diverso, esattamente le stesse nozioni alle quali si riferisce Francesco. Non c’è nel pensiero sociale di Bergoglio nessuna particolare originalità teorica. E non c’è quindi niente di sinistra, niente di più di quel che vi sia sempre stato nelle parole dei papi, che si sono immancabilmente, almeno dai tempi di Leone XIII e della scoperta della “questione sociale”, riferiti alla povertà e ai poveri, alla necessità di rimediare alle diseguaglianze, all’importanza di liberarsi dall’adorazione idolatrica del denaro e dei consumi. Tutto ciò sempre in un quadro rigorosamente interclassista e auspicando al massimo la conversione spirituale di quella parte malvagia delle elites che dovrebbe cambiare atteggiamento verso i poveri e scoprire la bellezza del dono e della solidarietà. Non si trova, nelle parole del papa, nessun accenno all’opportunità del conflitto sociale o a qualche soluzione politico-organizzativa alternativa al capitalismo. Quello di Francesco è un approccio da papa, cioè essenzialmente moralistico, ai problemi sociali e politici. Il popolo che Francesco ama e benedice, il suo popolo, è quello dei pellegrinaggi e delle adorazioni eucaristiche, non quello dei cortei e delle rivendicazioni sociali….

L’articolo di Marco Marzano prosegue sul numero di Left in edicola


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