Il 7 luglio del 2017 è stata scritta una pagina fondamentale della storia umana. Con l'approvazione del Trattato Onu, le armi nucleari, dopo 72 anni della loro esistenza, sono state dichiarate illegali. L'Italia e gli altri Paesi Nato non hanno voluto partecipare ai negoziati.

I negoziati in corso all’Onu dallo scorso marzo si sono conclusi con l’approvazione da parte di due terzi dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite di un Trattato dai toni molto netti per la proibizione delle armi nucleari. La società civile a livello internazionale, organizzata da Ican (International Campaign to Abolish Nuelear weapons), è stata l’agente determinante che ha consentito di raggiungere questo obiettivo, ed ha preso parte attivamente ai negoziati. Il testo del Trattato, oggetto di animate discussioni che hanno prodotto varie formulazioni intermedie introducendo importanti anche se contrastati miglioramenti, è stato adottato con il voto a favore di 122 Stati, un voto contrario e un astenuto, e salutato da cinque minuti di applausi e la profonda commozione della presidente della Conferenza, la costaricense Elyane Whyte.

L’ampia partecipazione degli Stati a questi negoziati, e la lunga campagna vi ha dato origine, si basano sulla profonda sfiducia verso il Trattato di Non Proliferazione del 1970 e l’arrogante inadempienza del suo Art. VI che imponeva «trattative in buona fede per concludere quanto prima un disarmo nucleare e generale» Al contrario, da allora il numero di testate negli arsenali nucleari mondiali è più che raddoppiato da 30.000 a 70.000, e il numero di Stati dotati di armi nucleari è passato da 6 a 10 (compreso il Sudafrica che nel frattempo ha smantellato il proprio arsenale).

Questo Trattato non è ancora un accordo per procedere all’effettiva eliminazione delle armi nucleari, dal momento che gli Stati nucleari (Usa, Russia, Francia, Israele, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord) e i paesi della Nato, molti dei quali ospitano testate nucleari degli Stati Uniti, non hanno aderito e partecipato ai negoziati. Tuttavia resterà una pietra miliare e condizionerà comunque ogni passo futuro. Fino ad oggi esistevano trattati che stabilivano l’illegalità delle armi biologiche (1972), chimiche (1993), delle mine (1997), delle bombe a grappolo (2008), il cui uso è classificato come un crimine nel diritto internazionale. Pensiamo alle recenti strumentalizzazioni del presunto arsenale chimico di Assad in Siria, con minacce di intervento militare, ma se gli USA sferrassero un ben più devastante attacco nucleare non sarebbe finora stata possibile una denuncia di violazione del diritto internazionale. Da oggi questa denuncia sarà possibile, anche se per ora tutt’altro che automatica.

Tra i paesi Nato ha partecipato ai negoziati solo l’Olanda. E sembra essere stata una quinta colonna dell’Alleanza poiché si è opposta all’approvazione del Trattato per consenso ed ha espresso l’unico voto contrario (l’astenuto è Singapore).

Premessa fondamentale del Trattato è il riconoscimento, importantissimo in uno strumento giuridico internazionale, delle “catastrofiche conseguenze umanitarie” delle armi nucleari, e che la loro completa eliminazione “rimane il solo modo di garantire che esse non siano mai usate in qualsiasi circostanza”. L’Art. 4 suona “Verso la totale eliminazione delle armi nucleari”, e l’Art. 12 impegna gli Stati aderenti a farsi promotori del bando presso gli altri Paesi, in modo che il Trattato raggiunga l’universalità.

Il nucleo del Trattato è l’Art 1 che vieta in termini molto fermi agli Stati che vi aderiranno di: sviluppare, testare, produrre, acquisire qualsiasi dispositivo nucleare esplosivo, qualunque sia la sua potenza; trasferirli o riceverli a/da chicchessia; consentirne lo schieramento (vieta quindi esplicitamente il nuclear sharing, in base al quale l’Italia ospita circa 70 testate termonucleari statunitensi); assistere, incoraggiare o indurre chicchessia in siffatte azioni proibite. Il Trattato vieta non solo l’uso delle armi nucleari, ma anche la minaccia, negando quindi la legittimità della deterrenza che ha consentito la crescita demenziale degli arsenali nucleari durante la Guerra Fredda, e la folle corsa agli armamenti (purtroppo oggi ripresa, lo spreco più scandaloso di risorse, un affronto ai problemi drammatici del mondo.).

Il Trattato inoltre garantisce una specifica assistenza ai colpiti dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari, e sancisce la necessità di bonifica ambientale (articolo 6).

Usa, Gran Bretagna e Francia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che “Non firmeremo, ratificheremo e aderiremo mai” al Trattato, affermando che esso “non affronta le preoccupazioni per la sicurezza che continuano a rendere che necessaria la deterrenza nucleare”. Senonché una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta, come dichiarò nel 1984 una fonte insospettabile, il presidente Ronald Reagan, ed hanno ribadito il 27 giugno scorso in una lettera aperta ai presidenti Trump e Putin personaggi di levatura internazionale, Wolfgang Ischinger, Sam Nunn, Igor Ivanov e Desmond Browne.

L’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley ha affermato: «Qualcuno pensa che la Corea del Nord eliminerebbe le armi nucleari?». Ma quale credibilità hanno gli Usa per sostenere la non proliferazione, quando hanno finanziato un colossale programma trentennale di modernizzazione di queste armi di ben mille miliardi di dollari?. La “resistibile” ascesa nucleare della Corea del Nord ha cause che risalgono al voltafaccia di Bush Jr. rispetto all’Agreed Framework del 1994.

Il nuovo Trattato costituirà in qualsiasi caso una pietra miliare, generalizzerà e rafforzerà la consapevolezza e la pressione dell’opinione pubblica (i media non potranno perpetuare l’ignobile cortina di silenzio che hanno steso sui negoziati, e ora sul Trattato.), eserciterà inevitabilmente un’influenza sui governi ora refrattari e condizionerà la loro azione. I trattati che hanno messo al bando le armi biologiche e chimiche, le mine e le bombe a grappolo hanno dimostrato come armi in precedenza accettate sono ora rifiutate dalla comunità internazionale. Questo Trattato sarà un forte strumento nelle mani degli Stati non nucleari nelle prossime scadenze, come la Conferenza dio Riesame del Tnp del 2020.

Vi sono nel Trattato anche delle ombre, che comunque non possono appannare il valore storico di questo risultato. I contrasti, anche forti, che vi sono stati mostrano che questo Trattato è il risultato migliore che si poteva ottenere nelle condizioni presenti. I maggiori contasti sono stati sull’Art 17, che dà la possibilità ai Paesi aderenti di recedere dal Trattato in caso di «eventi straordinari legati all’oggetto del trattato» che ne abbiano «compromesso gli interessi supremi». La società civile che ha partecipato ai negoziati, sostenuta da molti Stati, si è opposta strenuamente a questa clausola, considerandola giustamente un controsenso, ma un blocco di Stati intransigenti ne ha impedito l’eliminazione: una guerra nucleare non può essere in ogni caso una risposta, non potrebbe essere “vinta” e i suoi effetti sarebbero deleteri per l’umanità intera, per cui gli obblighi del Trattato dovrebbero essere assolutamente vincolanti.

Un limite è anche di continuare ad insistere sul diritto degli Stati di sviluppare le tecnologie nucleari per usi civili, che ormai si sono dimostrate la porta per accedere alle tecnologie militari, poiché il dual-use è la caratteristica intrinseca e ineliminabile di questa tecnologia.

Un ulteriore appunto che mi sento di muovere è che non è stata accettata né considerata la proposta che era stata avanzata da rappresentanti italiani e francesi della società civile di estendere una definizione generale di “dispositivo nucleare esplosivo” a “qualsiasi tipo di arma la cui esplosione sia dovuta a un processo di fissione o fusione nucleare qualsiasi sia la potenza” dell’arma che si ottiene: non era una questione di lana caprina, anche se molto specialistica, perché nei laboratori militari sono in corso ricerche per realizzare micro-esplosioni tramite la fusione nucleare di minime quantità di nuclei leggeri senza la necessità di innescarla con l’esplosione di una bomba a fissione, che necessita della presenza di una massa critica di plutonio. La Convenzione che vieta le armi biologiche è attualmente messa a rischio da progressi delle biotecnologia che erano impensabili nel 1972.

Il Trattato sarà aperto alle firme il 20 settembre, ed entrerà in vigore entro 90 giorni da quando sarà ratificato da 50 Paesi. Esso prevede la prima revisione ufficiale 6 anni dopo l’entrata in vigore, ma emendamenti, secondo l’art. 10, possono essere proposti e fatti circolare in ogni momento. Essi possono essere approvati dalle riunioni degli Stati aderenti e dalle Conferenze di revisione con una maggioranza qualificata di 2/3. Gli emendamenti entrano in vigore dopo che la maggioranza degli Stati aderenti al momento dell’adozione depositano la ratifica.

Il compito più urgente per le reti organizzate in Ican è ora la campagna per le firme e le ratifiche. Il gruppo internazionale di Parlamentari che hanno preso parte ai negoziati ha elaborato un documento programmatico per coordinare le pressioni sugli Stati per la firma e la ratifica del Trattato. Nel Parlamento italiano giacciono in proposito 4 mozioni, di orientamento diverso: la loro discussione era prevista alla fine di giugno, ma poi è stata spostata e non si sa quando verrà calendarizzata.

C’è da augurasi che i principali quotidiani e notiziari nazionali rompano finalmente l’ignobile congiura del silenzio (perché non si promuove un mail bombing sui Direttori delle testate?), e che la consapevolezza e la volontà dell’opinione pubblica crescano, esercitando una pressione crescente sul nostro governo perché aderisca alla campagna che da questo storico momento si impegnerà per eliminare le armi nucleari dalla storia.

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L’autore: Angelo Baracca è stato professore di Fisica e di Storia della fisica all’Università degli Studi di Firenze. In particolare si è occupato di energia e di disarmo nucleari, come testimoniano i volumi, pubblicati con Jaca Book, A volte ritornano: il Nucleare (2005); L’Italia torna al nucleare (2008) e SCRAM. Ovvero la fine del nucleare (2011). Collabora da oltre 20 anni con la facoltà di Fisica dell’Università dell’Avana, a Cuba, che lo ha portato a una ricostruzione dello sviluppo scientifico straordinariamente avanzato di questo Paese (v. A. Baracca e R. Franconi, Subalternity vs. Hegemony, Cuba’s Outstanding Achievements in Science and Biotechnology, 1959-2014). Sempre per Jaca Book ha appena pubblicato il saggio divulgativo Storia della fisica italiana. Un’introduzione