La strategia di Italia ed Unione europea è chiara: fornire sostegni economici ai Paesi africani di partenza in cambio di un congelamento dei flussi migratori. Libia e Niger sono in prima fila tra i beneficiari. Ma l’operazione lascia un debito di morti

Si sono ritrovati tutti a Tunisi, lo scorso 24 luglio. Dall’altra parte del Mediterraneo. L’autostrada che unisce due continenti. E che, di comune accordo, si tenta di sbarrare. L’occasione: una delle numerose riunioni che scandiscono la politica dell’esternalizzazione del controllo delle frontiere. Gli attori: i rappresentanti dei Paesi africani ed europei maggiormente interessati dalla rotta del Mediterraneo centrale. L’obiettivo: arginare la situazione libica rafforzando le relazioni con i Paesi vicini.
Fondi europei allo sviluppo condizionati all’impegno nella gestione delle proprie frontiere. È ormai questo il fulcro della dimensione esterna delle politiche di immigrazione e asilo, sia a livello italiano che continentale. E l’intensificazione di questa dimensione è dimostrata dai fondi che si è deciso di stanziare, corredando dunque gli impegni politici con precise strategie progettuali e di investimento. La logica dell’esternalizzazione prevede un impegno degli Stati africani, in cambio di fondi europei allo sviluppo. Da un lato la chiusura delle frontiere marittime e terrestri, dall’altro procedure di espulsione accelerate, senza intoppi nelle identificazioni.

Il reportage si Sara Prestianni prosegue su Left in edicola


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