Il coordinatore di Medici senza frontiere: «Scappare dalla città è difficile, tra mine e ordigni improvvisati»

«Nella città di Raqqa, se non si muore per gli attacchi aerei, si muore per un colpo di mortaio; se non si muore per un colpo di mortaio, si muore colpiti dai cecchini; se non sono i cecchini, allora è un esplosivo. Anche qualora si riuscisse a sopravvivere, sopraggiunge la fame e la sete per mancanza di cibo, acqua, elettricità».

A ricordare la drammatica situazione della città siriana – scomparsa dai quotidiani e dai telegiornali come se fosse stata definitivamente liberata dall’Isis – è un paziente di 41 anni, soccorso da Medici senza frontiere mentre fuggiva portandosi dietro ferite di schegge al torace e il ricordo di sette familiari che – a differenza sua – non ce l’hanno fatta.

Per fare il punto, abbiamo contattato Robert Onus, il coordinatore per le attività a Raqqa di Msf, una delle poche organizzazioni presenti sul posto per rispondere alle necessità mediche della popolazione. Msf non fornisce la posizione esatta dei suoi operatori, ma sappiamo che ci sta telefonando dal nord della Siria. «Stiamo supportando gli ospedali di Tal Abyad, Kobane, Manbij, abbiamo altre attività in zone limitrofe, ed un team di ambulanze (otto in tutto, ndr) ponte a soccorrere i profughi vicino alle prime linee». Msf ha anche una postazione medica avanzata fuori Raqqa, dove i pazienti vengono stabilizzati. Si tratta di una postazione importante, perché per arrivare a Tel Abyad – il centro di soccorso principale – bisogna percorrere 100 Km.

«I pazienti che arrivano dalla città ci parlano di una situazione piuttosto difficile, con pesanti scontri in atto – prosegue Onus -. Noi riceviamo molti dei feriti. In gran parte vengono colpiti, durante il tentativo di allontanarsi dalla città, principalmente dall’esplosione di mine o dei cosiddetti dispositivi esplosivi improvvisati (Ied), che sono disseminati nelle strade. La possibilità di accesso a cure mediche all’interno della città al momento è limitato: l’ospedale di Raqqa sembra essere ancora in funzione, garantisce in parte un primo soccorso, ma non riesce a gestire tutte le richieste che arrivano».

Ad avere bisogno di aiuto, sono in particolare i più piccoli. «Riceviamo bambini feriti che scappano da Raqqa, ma anche famiglie e gruppi di persone che tentano la fuga, spesso nel mezzo della notte per evitare i controlli; l’altra settimana abbiamo ricevuto 12 persone, tutte colpite da esplosione, uno è inciampato su uno Ied, che ha colpito più persone, tra cui tre bambini appunto».

Le équipe di Msf gestiscono anche una clinica nel campo di Ain Issa e lavorano in diverse aree nella Siria nordorientale, che fino a poco tempo fa erano controllate dello Stato islamico. In tutto, nel nord della Siria, Msf gestisce 4 ospedali, e fornisce assistenza in totale a più di 150 strutture sanitarie nel Paese.

L’articolo è tratto dal numero di Left in edicola


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