Assalto ai comitati di quartiere e lotta per la casa in salsa xenofoba. Così i neofascisti romani, ispirandosi all’estrema destra greca, si prendono le periferie devastate dalla crisi economica. Nell’indifferenza o con la complicità dei partiti principali.

Dicembre 2016. Un gruppo di abitanti delle case popolari impedisce fisicamente a una famiglia marocchina (con tre bambini: uno, quattro e sette anni) di accedere all’appartamento a loro regolarmente assegnato. Tra le urla, «qui non vogliamo negri», «tornate a casa col gommone». CasaPound, con il vicepresidente Simone Di Stefano, prende subito posizione: «Solidarietà incondizionata a quegli italiani che non si arrendono nei quartieri». Trullo, zona a sud-ovest, 23 gennaio 2017. Parte opposta della Capitale, medesima situazione. Una famiglia egiziana, cinque figli, si prepara ad accedere alla casa Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale del Comune di Roma) che gli spetta, dopo lo sgombero della giovanissima coppia italiana che la occupava. Lui ventenne precario, lei 17enne incinta. Ma un picchetto impedisce l’assegnazione. A prendervi parte anche Forza Nuova e CasaPound con le rispettive ali popolari: Roma ai romani e Casa agli italiani. «Abbiamo deciso di agire di forza, facendo rientrare la famiglia italiana e barricandoci nella casa» chiariscono in una nota congiunta. Per finire, Tor Bella Monaca, 17 giugno. Dulal Howlader, 52 anni, di origini bengalesi ma con cittadinanza italiana, cardiopatico. Dopo cinque anni di attesa va a conoscere il palazzo dove gli è stata assegnata una abitazione. Chiede informazioni a quattro ragazzi, ma la loro risposta è netta. «Negro, vattene via, qui non c’è posto per te. Qui le case sono tutte occupate». Poi botte, e una ginocchiata alla schiena che lo atterra. Dulal sporge denuncia, ma rinuncia all’appartamento. Preferisce cambiare zona, lì è troppo pericoloso. Persino il poliziotto che raccoglie la denuncia conferma, «se ci vai a vivere, quelli ti ammazzano». Tre episodi di razzismo, nei quali le vittime sono state costrette a ripiegare su altre zone della città in cui vivere. Tre sconfitte dello Stato, dunque, incapace di fornire una risposta istituzionale seria alle insurrezioni xenofobe, che non sia quella dell’individuare una abitazione alternativa. Ma, innanzitutto, tre vittorie importanti per la galassia dell’ultradestra italiana che ha scelto di investire forza ed energie in una pratica, quella della lotta per la casa, tradizionalmente di sinistra, declinandola però in chiave razzista. Ma non è questa l’unica novità. Per capire quale sia la ricetta politica che i neofascisti hanno adottato per incassare consensi in periferia, manca ancora un ingrediente. Tiburtino III, 30 giugno. La “strana” associazione Tiburtino III millennio, legata in modo ambiguo a CasaPound organizza un corteo per la chiusura del presidio umanitario della Croce Rossa di via del Frantoio. È una battaglia che porta avanti da mesi, sempre sotto il vessillo dell’apoliticità. Ed è solo uno tra i comitati che si muovono in questo modo. Ora l’impasto è chiaro. Lotta per la casa agli italiani e aggregazione all’interno dei comitati cittadini: è intorno a queste due pratiche che l’estrema destra ha scelto di giocare la sua partita.

Non si tratta però di una invenzione italiana. Guido Caldiron, giornalista e autore di Estrema destra, l’ha battezzata «modello Alba dorata», formazione ellenica con la quale peraltro CasaPound e Forza Nuova hanno ormai rapporti consolidati. Prevede un impegno parallelo, giocato di sponda, tra intervento sociale (si pensi alla distribuzione di generi di prima necessità di Alba dorata ai greci poveri) e lotta all’«invasione degli immigrati», per speculare su una guerra fra poveri. Solo cogliendo entrambe i lati di questa “medaglia nera” si capiscono i progetti odierni dei nostalgici del Ventennio.

Monitorare il territorio, cercare un pretesto – casa, immigrati, roghi tossici – formare in fretta e furia un’associazione o un comitato di quartiere e creare una pagina Facebook. La strategia è ormai rodata: «Voi avete i problemi, noi siamo qui per risolverli e lo faremo insieme». Le piccole e grandi proteste che hanno animato le periferie romane degli ultimi anni hanno avuto alle spalle sempre comitati popolari. Complici la pressione della crisi economica e il disinteresse dei principali partiti politici, le destre hanno iniziato a soffiare sul malcontento dei quartieri più marginali, spronando i residenti a ribellarsi alla propria condizione e coniando un gergo bellico: «Resistenza nazionale», «fronte patriottico», «sostituzione etnica». Comitati tutti rigorosamente “apolitici”, ma solo a parole. Se si analizza l’iconografia di alcuni di essi, se ne ascoltano le parole d’ordine, si studiano le pratiche, emergono le loro idee.

Il “fascio-font” (il tipico carattere grafico nero, stile Ventennio, utilizzato sui manifesti), l’alloro, il moschetto e il tricolore sono tra i simboli di riconoscimento dell’associazione Tiburtino III Millennio nel IV municipio. Un’allusione trasparente ai militanti di CasaPound a cui piace essere chiamati “fascisti del terzo millennio”. Nel comitato ci sono inoltre volti noti di CasaPound, come Mauro Antonini, candidato alle elezioni del 2013 e del 2016 al municipio.

Tiburtino III, quartiere dormitorio dominato da cemento, incuria e spaccio, ospita tre centri di accoglienza. Degrado e immigrazione (messi sullo stesso piano) sono stati i temi dell’associazione che è scesa in piazza più volte per chiederne la chiusura. Mancano case e luoghi di aggregazione, perché quindi lasciare agli immigrati gli stabili vuoti? Il coro «Difendiamo la nazione non vogliamo immigrazione» racchiude l’anima razzista dell’ultima protesta organizzata dal comitato il 30 giugno, contro la proroga comunale di sei mesi al presidio umanitario della Croce Rossa in via del Frantoio, una struttura osteggiata sin dalla sua apertura nel 2015. Ma pochi giorni fa c’è stata una grande vittoria per il comitato: la recente chiusura dei due Sprar.

A Roma ovest, nel XIII municipio, decoro e italianità sono le parole d’ordine del comitato “Fenix 13”, che come simbolo ha l’aquila imperiale. Il suo presidente è Simone Montagna, esponente di spicco di CasaPound e cantante dei “Bronson”, band punk hardcore formatasi proprio intorno al movimento di estrema destra. Fenix 13, con pratiche e vocabolario simili a quelli di Tiburtino III Millennio, si è intestato la chiusura del Centro Enea, che accoglieva 400 migranti a Casalotti, periferia ovest di Roma. Anche a Infernetto, “gli italiani che non si arrendono” hanno trovato voce nel Comitato per la “Difesa del X municipio”, che come simbolo ha uno scudo crociato. Luca Marsella è il responsabile di CasaPound presente nel gruppo ed è lo stesso che lo scorso 8 luglio ha guidato l’azione anti-(immigrati) abusivi di CasaPound sulle spiagge di Ostia.

Roma ai romani, coordinamento di lotta popolare, è il nuovo giocattolo di Giuliano Castellino. Un comitato di estrema destra per il diritto all’abitare, che scimmiotta e reinterpreta le parole d’ordine dei movimenti di lotta per la casa. Il noto esponente dei gruppi neofascisti romani, ad oggi responsabile politiche sociali di Forza Nuova, è il punto di raccordo con il passato. Un’opera di traslazione: dai vecchi organigrammi dell’organizzazione si passa istantaneamente ad un nuovo vocabolario. «Ogni sgombero sarà una barricata! Roma ai romani, case agli italiani!» e la chiara adesione ai codici e alla simbologia del fascismo. Le Fac (Famiglia azione casa) balzate agli onori della cronaca per gli scontri del 22 novembre scorso al Campidoglio, con gli inquilini del residence di via Giacomini sotto sfratto, sono state il primo esperimento forzanovista da cui prenderà poi vita il coordinamento di lotta popolare. Forza Nuova infatti è il partito, e la neonata creatura di Giuliano Castellino è “l’ala popolare”.

Un mix di propaganda complottistica – “la sostituzione etnica” è la purezza romana -, «regolari dal 753 a.C» con un attivismo sfrenato «al fianco degli italiani». Il 28 gennaio 2017 Roma ai romani occupa la sede dell’Ater richiedendo l’abolizione della delibera 117 con cui la Giunta Capitolina approvava l’istituzione di un tavolo cittadino per l’inclusione dei rom, sinti e camminanti. Dopo i fatti del Trullo, la radicalizzazione delle pratiche è immediata. «Ormai siamo ospiti (indesiderati?) a casa nostra […] Continuano quindi le politiche anti-italiane della Giunta Raggi. Noi siamo pronti a organizzare la lotta contro chi vorrebbe sostituire il popolo romano con immigrati provenienti da ogni angolo del globo» scrive Roma ai romani.

Non solo picchetti anti-sfratto e ronde vecchio stile, il 21 marzo alcuni militanti occupano una palazzina in zona Trionfale per impedire che lo stabile venga convertito in centro di accoglienza. «Gli italiani stanno alzando la testa, ribellandosi ad un sistema che antepone gli immigrati alla dignità e ai bisogni dei nostri connazionali» è il commento di Roberto Fiore, segretario nazionale di Forza Nuova.

E ancora – con gli eventi di Tor Bella Monaca e la manifestazione dell’11 luglio annullata dalla questura, lo sgombero della sede di viale dell’Archeologia e il presidio antifascista -, la retorica della vittima e la fantomatica «rivolta di popolo contro i traditori della patria» irrompono nel resoconto del coordinamento popolare. «La gente è scesa in strada per protestare contro l’ingiustizia. Immediata la risposta dei militanti di Forza Nuova e Roma ai Romani, che, insieme ai residenti, hanno dato vita a violenti scontri, mettendo in fuga gli antagonisti, letteralmente cacciati dal quartiere».

Sarà il sindacato Usb a chiarire la dinamica dei fatti – un manipolo di militanti dell’estrema destra respinti dagli attivisti antifascisti del quartiere – ribadendo che «le frange di estrema destra si offrono come strumento di “distrazione di massa”: la colpa è dei migranti e non, per esempio, del fatto che il governo ha appena destinato alcune decine di miliardi al salvataggio delle banche mentre non investe un soldo nel risanamento del patrimonio immobiliare pubblico e lascia nell’abbandono le periferie come Tor Bella Monaca.

Il reportage è stato pubblicato su Left n. 29

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