Il Movimento 5 stelle, come qualsiasi altro partito politico, ha tutto il diritto di puntare per le prossime elezioni su chi ritiene più opportuno. Ha tutto il diritto, anche, di scegliere le modalità di selezione della propria classe dirigente e di proporre il proprio metodo utilizzando la narrazione che preferisce. Non ha il diritto però (e questo sembrano in molti a non capirlo) di sottrarsi al giudizio dei propri meccanismi (ebbene sì, anche quelli interni, perché da come gestisci il tuo stesso partito evidentemente si intuisce come potresti gestire una città, una Regione o magari un Paese intero) e le “luiginarie” che porteranno all’incoronazione (bulgara, proprio come le primarie che hanno sempre contestato agli altri) di Di Maio come candidato premier del Movimento 5 stelle sono qualcosa che risulta addirittura contrario al messaggio originario di Grillo e dei suoi. E mi spiace ma no, non ci credo, non posso credere, che la corsa alla premiership del Movimento sia ben accetta dai militanti e dai parlamentari.
Intendiamoci: non è Di Maio il punto. Sono piuttosto quegli altri sette piccoli indiani (sconosciuti e senza nessuna possibilità di vittoria) e l’assenza di qualsiasi altro candidato di peso gli elementi che trasformano queste primarie nell’ennesimo stanco rito di decisioni già prese da altri.
La contendibilità della leadership all’interno di un partito è l’elemento fondante della democrazia. Che piaccia o no. Le incoronazioni o le successioni ereditarie sono altro. Il passaggio tra Casaleggio padre e Casaleggio figlio nei modi non è diverso dal passaggio di consegne di De Luca padre a De Luca figlio e la primarie di Di Maio non sono diverse nei modi dalle contestatissime primarie dell’ultimo Renzi (vi ricordate le accuse di “mancata competizione” per la guida del Pd?) o, per tornare più indietro, a quelle che portarono Prodi alla guida de l’Unione nel 2005. Ha tutto il solito vecchio rancido gusto. Tutto.
Certo, potrebbe essere un sistema per “proteggere” il M5s dalle lacerazioni interne. E viene da chiedersi allora perché non dirlo, semplicemente, senza fingere una competizione aperta che (legittimamente) non si è voluta. Oppure c’è chi dice che in fondo il programma del M5s in realtà ha solo bisogno di un semplice portavoce: sfugge allora perché il personaggio di Di Maio sia stato “costruito” in questi ultimi anni in quegli stessi salotti (televisivi e di potere) così lungamente osteggiati. Poi ci sono quelli che davvero sono convinti e provano a convincerci che si tratti di “primarie aperte” senza tenere conto del fatto che la sovraesposizione mediatica di Di Maio (spinta a mille da Grillo e Casaleggio) possa non confliggere proprio con “l’uno che vale uno”. Basta mettere scritti uno di fianco all’altro Luigi Di Maio a Gianmarco Novi (tanto per citarne uno, tra gli altri contendenti) per rendersi conto che “la rete” no, non ha “sconfitto” la televisione.
Oppure semplicemente i mali della politica in fondo sono comodi. Per tutti. E questa è una brutta notizia, per tutti.
Buone primarie.
Buon martedì.