I dati Istat parlano di 4.742.000 poveri “assoluti” in Italia che non possono permettersi l’indispensabile per vivere e per curarsi, e di 8.465.000 poveri “relativi” «con spesa mensile pro capite più che dimezzata rispetto a quella media degli italiani». Vale a dire che nel nostro Paese più di una persona su cinque vive in povertà. Disoccupazione, precarietà, frammentazione sociale sono diventate strutturali. L’affossamento del welfare, la sanità sempre più privatizzata e gestita con criteri aziendalistici, i tagli alla ricerca e al sistema formativo hanno fatto il resto. Il risultato è un Paese in continuo declino, non solo economico, ma anche politico e culturale. In cui spicca fortissima la crisi della rappresentanza. Di fronte a questo drammatico quadro il governo di centrosinistra cosa fa? Gioca sulla paura e sull’ignoranza, alimentando razzismo e xenofobia: con il codice Minniti, con una gestione emergenzialistica e securitaria dell’immigrazione, con la retorica cripto colonialista di slogan come «aiutiamoli a casa loro». Lo fa concretamente bloccando l’approvazione di provvedimenti come lo ius soli e il biotestamento, pur moderatissimi. La cancellazione dell’antifascismo dallo statuto del Pd ha dato il la a una mutazione inquietante nel maggior partito di sinistra che a poco a poco si è spostato sempre più a destra, diventando indistinguibile da quelli che un tempo erano i partiti avversari. Un percorso per molti versi analogo a quello dell’Spd in Germania. La sonora sconfitta subita il 24 settembre dal Partito socialdemocratico guidato da Martin Schultz, ma anche il -9% registrato dai cristiano-democratici della (pur riconfermata) cancelliera Angela Merkel dicono chiaramente che abdicare alla propria identità democratica non paga. L’avanzata di un partito populista e di un’ultra destra come l’Afd va di pari passo con una sinistra tedesca sempre più sbiadita. Ma i vertici del Pd non sembrano aver colto l’antifona. Così, mentre guardiamo con speranza a quella parte della sinistra che tenta di unirsi badando ai contenuti e non ai tatticismi, ci è sembrato importante tornare a riflettere su alcune parole chiave della sinistra, che oggi più che mai ci appare da ricostruire. O forse, per dire meglio, da cominciare a costruire con un pensiero nuovo. Lottando per la soddisfazione dei bisogni ma anche - forti di una visione articolata e complessa dell’essere umano non riducibile all’Homo oeconomicus di marca neoliberista - considerando le esigenze di realizzazione di se stessi nel rapporto con gli altri a cui accenna l’articolo 3 quando afferma che compito della Repubblica è «rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana». [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola

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I dati Istat parlano di 4.742.000 poveri “assoluti” in Italia che non possono permettersi l’indispensabile per vivere e per curarsi, e di 8.465.000 poveri “relativi” «con spesa mensile pro capite più che dimezzata rispetto a quella media degli italiani». Vale a dire che nel nostro Paese più di una persona su cinque vive in povertà. Disoccupazione, precarietà, frammentazione sociale sono diventate strutturali. L’affossamento del welfare, la sanità sempre più privatizzata e gestita con criteri aziendalistici, i tagli alla ricerca e al sistema formativo hanno fatto il resto.

Il risultato è un Paese in continuo declino, non solo economico, ma anche politico e culturale. In cui spicca fortissima la crisi della rappresentanza. Di fronte a questo drammatico quadro il governo di centrosinistra cosa fa? Gioca sulla paura e sull’ignoranza, alimentando razzismo e xenofobia: con il codice Minniti, con una gestione emergenzialistica e securitaria dell’immigrazione, con la retorica cripto colonialista di slogan come «aiutiamoli a casa loro». Lo fa concretamente bloccando l’approvazione di provvedimenti come lo ius soli e il biotestamento, pur moderatissimi.

La cancellazione dell’antifascismo dallo statuto del Pd ha dato il la a una mutazione inquietante nel maggior partito di sinistra che a poco a poco si è spostato sempre più a destra, diventando indistinguibile da quelli che un tempo erano i partiti avversari. Un percorso per molti versi analogo a quello dell’Spd in Germania. La sonora sconfitta subita il 24 settembre dal Partito socialdemocratico guidato da Martin Schultz, ma anche il -9% registrato dai cristiano-democratici della (pur riconfermata) cancelliera Angela Merkel dicono chiaramente che abdicare alla propria identità democratica non paga. L’avanzata di un partito populista e di un’ultra destra come l’Afd va di pari passo con una sinistra tedesca sempre più sbiadita.

Ma i vertici del Pd non sembrano aver colto l’antifona. Così, mentre guardiamo con speranza a quella parte della sinistra che tenta di unirsi badando ai contenuti e non ai tatticismi, ci è sembrato importante tornare a riflettere su alcune parole chiave della sinistra, che oggi più che mai ci appare da ricostruire.

O forse, per dire meglio, da cominciare a costruire con un pensiero nuovo. Lottando per la soddisfazione dei bisogni ma anche – forti di una visione articolata e complessa dell’essere umano non riducibile all’Homo oeconomicus di marca neoliberista – considerando le esigenze di realizzazione di se stessi nel rapporto con gli altri a cui accenna l’articolo 3 quando afferma che compito della Repubblica è «rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana».

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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