Pensare a un numero finito di cause della dispersione scolastica è, quantomeno, insensato. Premesso, come tiene a precisare il presidente di Con i bambini, Carlo Borgomeo, che rispetto alle difficoltà dei giovani la dispersione è «causa, perché li rende vittime di altre dispersione, e sintomo, perché si manifesta nelle situazioni di ambienti e territori in cui c’è maggior disagio e minor senso di comunità», l’abbandono scolastico non è una disfunzione, ma il mal funzionamento di un intero sistema.
È dispersione mentale. Dissipazione di energie vitali di giovani persi a se stessi e dispersi in casa, in famiglie “multiproblematiche”, povere di risorse economiche ma soprattutto di quelle culturali e relazionali, nelle quali, se capita qualcosa, tutto crolla: il verificarsi della dispersione scolastica al verificarsi di certe condizioni famigliari è prevedibile nel 90 per cento dei casi.
Ma la chiusura all’apprendimento, stando a quanto si legge nei sostanziosi lavori di Maestri di Strada «è strettamente connessa con la chiusura al rapporto, con esperienze deludenti di relazione con gli altri, in primo luogo con gli adulti di riferimento». Che non sanno proporre, non avendolo ricevuto, un mondo migliore: fosche rappresentazioni del futuro alimentano nei giovani, già privi di solidi riferimenti psichici e materiali, «emarginazioni interiori», generando un «deserto dei significati», svuotati di senso. Che, ormai, nemmeno le strutture scolastiche e la cultura pedagogica riescono a riempire, inadeguate, come sono, a cogliere la complessità del mondo e le difficoltà di crescita dei giovani delle periferie emarginate (e non solo), il cui disagio altro non è che lo stato acuto e palese di un malessere strisciante che pervade l’intera società.
Nella quale le relazioni affettive sono evaporate e «sostituite da dispositivi razionali», tipo servizi e istituzioni, che lasciano i giovani indifesi di fronte alle proprie carenze, alimentate da insuccessi cognitivi e relazionali in ambito scolastico che, spesso, è causa e contesto di ripetuti fallimenti.
Fallimenti che amplificano la demotivazione a proseguire gli studi, in un ambiente tutt’altro che favorevole, caratterizzato da degrado, mancanza di strutture di sostegno alla socialità e, talvolta, da presenza di criminalità a vari livelli, in città trascurate, costituite da ghetti a matrioska, in cui interi strati sociali si disconoscono e si guardano con sospetto.
Un clima di totale abbandono che pesa come un disinvestimento umano che fa sentire i giovani esclusi da qualsiasi progettualità, verso l’impossibilità di desiderare. Verso il “tutto è perduto”. Verso un immutabile destino prestabilito che il vissuto quotidiano non stenta a ribadire in ogni occasione, contribuendo, anche, a farli dubitare del proprio valore: se è vero che «ogni essere umano, per trovare indizi che gli permettano di comprendere come considerarsi e valutarsi, dipende dalla somma delle proprie esperienze con gli altri, è ovvio che dei bambini, vedendosi continuamente respinti comincino a chiedersi se davvero meritino il disprezzo della società», spiega a Left, il presidente e fondatore di Maestri di Strada, Cesare Moreno.
L’ostilità del mondo, il rancore e la rabbia «si vincono con la parola e con il pensiero», strumenti indispensabili a elaborare la propria condizione e non con la fredda «trasmissione di un patrimonio estraneo a sé» perché l’inappetenza cognitiva, provocata dal disagio esistenziale e della società, è a monte di qualsiasi proposta didattica.