Nuovo importante passo avanti nella capacità dei biologi di “riscrivere” le informazioni genetiche in maniera semplice, precisa e poco costosa. Copiando i più piccoli organismi esistenti al mondo. I batteri hanno "inventato" un sistema di difesa che è una sorta di taglia e cuci universale. La nuova tecnica elaborata al Mit di Boston lavora come una brava maestra. Individua gli errori con la matita rossa e li corregge

Siamo passati dal macete al bisturi. Ne è convinto David Liu, biologo del Massachusetts institute of technology (Mit), che ha così commentato i due articoli, pubblicati sulle riviste scientifiche più note al mondo, l’inglese Nature e l’americana Science, con cui i suoi colleghi del Broad Institute lì a Boston hanno descritto l’ultima evoluzione del “gene editing”, la possibilità recentemente acquisita di correggere il Dna mediante la tecnica chiamata Crispr/Cas 9.

Si tratta di un ulteriore, importante passo avanti nella capacità dei biologi di “riscrivere” il Dna in maniera semplice, precisa e poco costosa. Prima di verificare in cosa consiste il bisturi – o, meglio, la matita rossa – realizzato al Mit da due gruppi diversi di ricercatori, conviene ricordare cos’è e come funziona il macete: ovvero il metodo Crispr (Clustered regularly interspaced palindromic repeats).

Come Left ha già avuto modo di richiamare alla memoria, quello Crispr non è un metodo inventato dall’uomo, ma messo a punto, per selezione naturale, dagli organismi viventi più piccoli, i batteri, centinaia di milioni e forse miliardi di anni fa per respingere il tentativo di virus o comunque di materiale genetico “alieno” di entrare nel Dna batterico, di farsi ospitare e di riprodursi in maniera del tutto gratuita. L’inserzione nel Dna di un organismo vivente fa la fortune dell’ospite parassita, ma spesso è pericolosa per l’ospitante suo malgrado. Ecco perché la selezione naturale ha consentito l’evoluzione nel Dna dei batteri di sequenze di basi che si ripetono – le Crispr -, cui sono associati dei geni, i cas (Crispr associated), che codificano per enzimi capaci di tagliare il Dna nei punti giusti, eliminare le sequenze indesiderate e sostituirle con quelle volute.

Nella Crispr/Cas 9 è intervenuta, nel 2012, anche la mano dell’uomo. O meglio, di una donna, la microbiologa francese Emmanuelle Charpentier, e poi di molti suoi colleghi, tra cui un’altra donna Jennifer DouDna, della University of California di Berkeley, e di Feng Zhang, del Massachusetts Institute of Technology di Boston. Con gli opportuni accorgimenti individuati da questi e altri genetisti, il sistema “inventato” dai batteri, si trasforma in un “taglia e cuci universale”: una forbice e un ago in grado di lavorare bene in ogni ambiente cellulare, compreso quello delle cellule eucariote per espellere con grande precisione ed efficacia i tratti di Dna deteriorati, malati o comunque indesiderati, e sostituirli con tratti integri, sani o comunque desiderati. In breve: la nuova tecnologia elimina i geni “cattivi” e inserisce quelli “buoni” con precisione e rapidità assoluta. In più è facile da usare ed è poco costosa. Quale biotecnologo avrebbe osato sperare di più? E, infatti, la scoperta – o, se volete, l’invenzione – viene eletta a “notizia scientifica dell’anno 2015 dalla rivista Science.

E tuttavia, alla luce delle ultime notizie provenienti da Boston, la Crispr/Cas9 ci appare più come un machete che come un bisturi. Perché, come fanno gli esploratori in una giungla, si apre la strada non tagliando le liane con precisione assoluta ma in maniera un po’ grossolana. Il “taglia e cuci” del Crispr/Cas9 è molto preciso, ma non precisissimo.

I due gruppi di ricercatori di Boston, tra cui Feng Zhang, ora hanno messo a punto due sistemi che hanno la precisione del bisturi. Vediamo come e perché.

Il Dna è una lunga catena formata da migliaia,centinaia di migliaia e, nel caso dell’uomo, da tre miliardi di basi. I biochimici le chiamano basi nucleotidiche. Le basi sono solo quattro, che hanno per simboli altrettante lettere dell’alfabeto: A e T, G e C. In realtà, come hanno scoperto negli anni ’50 James Watson e Francis Crick, il Dna è in formato da una”doppia elica”: due catene complementari avvinghiate tra di loro. A creare i vincoli sono sempre legami chimici relativamente deboli solo e unicamente tra le basi A e T e le basi G e C.

La sequenza di basi lungo il Dna non è casuale, ma definisce le funzioni cui un certo tratto della “molecola della vita” assolve. Per esempio un certo tratto funge da gene: ovvero contiene le informazioni necessarie a produrre proteine. Ebbene, talvolta basta che una sola tra migliaia o decine di migliaia di basi non sia quella giusta – basta, dicono i genetisti, una singola mutazione – e il gene non funziona o funziona male. Nell’uomo si conoscono singole mutazioni in un singolo gene che possono produrre una malattia, anche grave. È il caso, per esempio, dell’anemia falciforme. O di altre migliaia di malattie definite monogeniche.

Ecco perché la capacità di correggere gli errori sul Dna assume un valore enorme non solo da un punto di vista scientifico, ma anche medico. Potremmo, in un tempo più o meno lungo, “riscrivere” il Dna senza errori e guarire da queste malattie. La posta in gioco è, dunque, altissima.

Lo scorso anno David Liu e il suo gruppo di lavoro al Mit di Boston hanno trovato il sistema di abbandonare il macete e di sostituire con precisione, appunto, chirurgica, un errore puntuale: una singola base. Il metodo, tuttavia, riusciva a sostituire solo la base C (citosina) nella base T (timina) e la base G (guanina) in A (adenina). Insomma, il bisturi funzionava sì, ma solo in poche circostanze. Ebbene, nell’articolo pubblicato lo sorso 25 ottobre su Nature, lo stesso Liu e un gruppo di suoi colleghi che lavorano con lui al Broad Institute, dimostrano di essere riusciti a “istruire” il sistema – attraverso una fase complicata di passaggi, con la messa a punto di un enzima ingegnerizzato che non esiste in natura – in modo tale da riuscire a realizzare anche le correzioni inverse: da T in C e da A in G. In questo modo è possibile correggere tutti gli errori possibili sul Dna, senza ricorrere al macete.

Per utilizzare un’altra metafora, la tecnica di Liu e colleghi lavora ora come una brava maestra. Individua gli errori di scrittura, li segna con la matita rossa e li corregge. Naturalmente, anche le maestre possono commettere errori. Ebbene, il nuovo metodo di Liu ha mostrato un’efficacia del 50% nelle correzioni di singole basi nel Dna di cellule di rene e di cellule del cancro alle ossa di embrioni umani. Non sembrano esserci effetti collaterali. La vecchia (si fa per dire) Crispr/Cas9 in analoghe correzioni ha un’efficacia del 5%. La precisione, dunque, è aumentata di dieci volte. Cosicché ha ragione Liu: forse sarà possibile abbandonare il macete nella terapia genica.

In un articolo pubblicato lo stesso giorno, il 25 ottobre scorso, Feng Zhang, con un altro gruppo del medesimo Broad Institute, hanno mostrato di poter effettuare correzioni puntuali di basi anche sull’Rna, ovvero sulle molecole che trasportano l’informazione genetica de Dna dal nucleo delle cellule ai Mitocondri, i luoghi di produzione delle proteine. In realtà di Rna ce ne sono di diversi tipi e tutti assolvono a funzioni molto importanti. Poter correggere gli errori che trasportano può essere, dunque, altrettanto importante che correggerli sul Dna. E se l’enzima con cui lavorano i colleghi per correggere il Dna è il Cas9, quello su cui lavora Zhang è il Cas13. Ma il metodo è del tutto analogo.

Il “base editing”, la correzione puntuale delle singole basi, si aggiunge, dunque, al “gene editing”, il taglia cuci di intere sequenze. Si aggiunge, perché l’ormai classico Crispr/Cas9 continuerà a essere utile. E si aggiunge anche perché ripropone i medesimi problemi di natura bioetica. Queste tecnologie vanno certamente utilizzate, perché hanno potenzialità davvero enormi. Di più: saranno presto applicabili, anche sull’uomo, da molti laboratori in ogni parte del mondo, proprio perché facili e poco costose. Sappiamo dunque il “chi” e il “quando” entreranno nella nostra vita. A maggior ragione, dunque, occorre avviare al più presto un pubblico e democratico dibattito per individuare il “come”.