Dalle scuole ai campi di calcio, si allarga il fenomeno dei soprusi sui più deboli. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty: «C'è la tendenza delle famiglie a minimizzare, come fosse una fase normale dell'adolescenza. Ma così si accetta la violenza»

Costretto a mangiare una schiacciatina che prima avevano buttato sotto la doccia. Non è uno scherzo da spogliatoio. Quello subìto, dopo l’allenamento di calcio a Bagno a Ripoli (Firenze), da Olmo, tredicenne e affetto da sindrome di Down, è un vero e proprio atto di bullismo. Di cui, secondo la definizione del primo studioso che teorizzò sull’argomento nel 1996, Dan Olweus, «ogni studente ne è vittima, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni». Che nulla ha a che vedere con le canzonature o i diverbi: non è uno scherzo, è, piuttosto, una violazione dei diritti umani fondamentali, in primis quello della non discriminazione.
«Quest’ultimo caso di bullismo è la conferma che il fenomeno prende di mira la diversità e le debolezze», spiega a Left, il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury. Che continua: «Ritroviamo, nel bullismo, quelle modalità di esclusione, di discriminazione e di accanimento nei confronti della diversità che sono all’origine di questo fatto gravissimo».
Dall’ambiente scolastico al mondo dello sport dilettantistico e giovanile è emergenza nazionale. «I più recenti dati Istat disponibili – aggiunge Noury – dicono che almeno il 50 per cento dei ragazzi e delle ragazze, tra gli undici e i diciassette anni, ha subìto una qualche forma di bullismo e che un ragazzo su cinque sia vittima di atti di bullismo ripetuti e frequenti; e, nella nostra esperienza, abbiamo riscontrato, purtroppo, che l’età in cui si inizia a subirli si sta abbassando per un fenomeno imitativo deteriore».
E diventa ancora più preoccupante di fronte a un generale atteggiamento di sottovalutazione degli effetti che sortiscono i comportamenti di bullismo: «C’è la tendenza a minimizzare da parte delle famiglie e del sistema scuola come fosse una fase ‘normale’, di passaggio in un’età critica come l’adolescenza», denuncia Noury. Niente di più sbagliato: «Così si rischia di sostenere una crescita basata sull’accettazione della violenza». E i risultati dell’indagine Istat, contenuti nel report Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi, ne sono la conferma: un numero relativamente alto di ragazzi, infatti, suggerisce il ricorso all’indifferenza come strumento di difesa, facendo finta di nulla o provando a riderci sopra, e, sebbene, fortunatamente, in maniera più contenuta, non mancano quanti pensano che sarebbe opportuno reagire con una qualche forma di ritorsione o infliggendo una sonora lezione per difendere la vittima. La quale, di solito, a meno che non venga sostenuta dall’eroico compagno di squadra di Olmo che ha reagito a quel sopruso, «tende a nascondere, per cause anche comprensibili, quali paura o vergogna, la violenza a cui è stata sottoposta», precisa Noury.
«Per salvaguardare l’incolumità dei più piccoli è necessaria una condivisione di obiettivi e principi di azione, si tratta di un atto di responsabilità della società civile e delle istituzioni», dichiara il fondatore e presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo. Che prosegue: «Telefono Azzurro, grazie all’attività di sensibilizzazione nelle scuole, di ascolto alle linee dell’Associazione e di tutela nelle azioni congiunte con le istituzioni c’è, proseguendo la sua azione in maniera sempre più strutturata e decisa», avendo rinnovato, per i prossimi tre anni, il Protocollo d’intesa con il Miur, allo scopo di effettuare interventi di sensibilizzazione rivolti agli alunni e destinati a far acquisire loro la consapevolezza delle problematiche connesse al disagio. Per prevenire il quale, Amnesty International, dal 2014, porta avanti un progetto di sensibilizzazione per le “scuole amiche dei diritti umani”.