Il Portogallo è governato da una sinistra che vince e governa, facendo buone riforme. Con un obiettivo chiaro: migliorare le condizioni di vita della popolazione. E contrariamente a quanto affermavano i falchi della destra, non è caduto nel baratro dell’instabilità politica ed economica

Del Portogallo non si è soliti parlare molto. Rimane là, affacciato sull’Atlantico, rivolto più alle Americhe o alle sue ex colonie africane che al cuore dell’Europa. Ci si dimentica quasi della sua esistenza, se non quando si sente la dolce tristezza del fado. O quando si rivedono i filmati della Rivoluzione dei Garofani. O magari quando si pensa ai dribbling di Ronaldo. Eppure del Portogallo varrebbe la pena parlare di più, capire quel che sta succedendo e magari imparare qualcosa. Soprattutto a sinistra.

No, nel Paese lusitano non c’è nessuna rivoluzione che scalda i cuori e gli animi. Non sono più i tempi del 25 aprile del 1974. Da nessuna parte. Non è nemmeno la Grecia del primo governo Tsipras seguito con tifo da stadio anche in Italia, prima che il leader di Syriza diventasse agli occhi di molti un traditore della causa rivoluzionaria. E quel che succede a Lisbona e dintorni non ha niente a che vedere con la Catalogna dove alcuni Lord Byron nostrani vorrebbero costruire barricate per difendere una novella Repubblica socialista, di cui non si vede nemmeno l’ombra. No, in Portogallo le masse non sono perennemente mobilitate, non si convocano referendum, non ci si appella al popolo. Si lavora silenziosamente, senza dare troppo nell’occhio e senza fare scalpore, per migliorare le condizioni di vita della popolazione. A qualcuno sembrerà poco probabilmente. Non è emozionante, è evidente. Ma i risultati parlano da soli.

II socialista António Costa sta per compiere due anni al governo del Paese, dopo una legislatura in cui il centro-destra di Pedro Passos-Coelho ha approfittato dell’intervento della Troika per smantellare il welfare state. Al palazzo di São Bento Costa ci è arrivato il 26 novembre del 2015, grazie ad un accordo con il Partido comunista português (Pcp), il Bloco de esquerda (Be) e i Verdi. Un governo di minoranza socialista appoggiato dalla sinistra che ha deciso di non entrare nell’esecutivo. Un’esperienza di geometria variabile che non vincola ogni partito a tutte le decisioni del governo e che permette a ciascuno di mantenere la propria identità e specificità programmatica. Un’esperienza nuova sulle rive del Tago: i comunisti erano usciti dall’area governativa dal tempo della Rivoluzione dei Garofani.

Qualche settimana fa è stata proposta la legge di bilancio per il 2018. È ormai la terza per l’esecutivo guidato dall’ex sindaco di Lisbona. E il Paese, contrariamente a quanto auguravano i falchi della destra, non è caduto nel baratro dell’instabilità politica ed economica…

Il reportage da Lisbona di Steven Forti prosegue su Left in edicola


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