«Ostia si è svegliata mafiosa solo dopo la testata sul naso che Roberto Spada ha dato ad un giornalista. Questa storia mi fa sorridere amaramente perché era già tutto annunciato». Il magistrato Alfonso Sabella nel 2015 è stato nominato, dall’allora sindaco Ignazio Marino, assessore alla legalità del comune di Roma, con delega al litorale di Ostia. E lui quel territorio e le famiglie che lo dominano li conosce bene: «Quello che è accaduto è un evento terribile, ma tutto questo è nelle corde di quel territorio. Un epifenomeno del fenomeno». Il 7 novembre il giornalista di Nemo, Daniele Piervincenzi e il suo cameraman, hanno subito un’aggressione da Roberto Spada, a Nuova Ostia, mentre si trovavano fuori la palestra di quest’ultimo per domandargli dei legami tra la sua famiglia e Casapound, che nel X municipio ha raggiunto il 9% alle ultime elezioni. Era stato lo stesso Spada, con un post su Facebook, a dichiarare il suo appoggio per CasaPound. Adesso “Robertino” si trova nel carcere di Regina Coeli con l’accusa di violenza privata aggravata dal metodo mafioso. E non è la prima volta per la famiglia Spada: il 42enne è il fratello di Carmine Spada, detto “Romoletto”, condannato in primo grado a 10 anni di carcere per estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Il 4 ottobre Massimiliano Spada, Ottavio Spada e Maria Dora Spada, sono stati invece condannati in primo grado a 13 anni e 8 mesi di carcere il primo, a 5 anni il secondo e 7 anni e 4 mesi la terza. Accusati di minacce, violenze, sfratti forzosi da alloggi popolari e anche una gambizzazione per affermare la supremazia del proprio clan sul territorio di Ostia. Il tutto con l’aggravante del metodo mafioso. Un uomo “che comanda” e che può dare “ordini”, così viene definito Roberto Spada dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e riportate dai pm della Dda romana Giovanni Musarò e Ilaria Calò nel provvedimento di fermo.
Il giudice
«C’è una sorta di antimafia di convenienza. – racconta il giudice Alfonso Sabella – Alcune delle persone che sabato sono scese in strada per manifestare contro la mafia a Ostia, sono le stesse che lo scorso gennaio protestavano contro lo scioglimento del municipio per mafia». Nel 2015 viene presa la decisione di sciogliere l’amministrazione Pd che governava Ostia, a seguito dell’allora inchiesta Mafia Capitale. Il sindaco Marino conferisce la delega alla legalità, anche per quanto riguarda Ostia, ad Alfonso Sabella. E tra le prime cose, c’è stata quella di far chiudere una delle palestre della Femus Art School, gestita dalla famiglia Spada. «Erano occupanti di uno spazio di proprietà del Comune», ma le chiavi della palestra arrivano in qualche modo nelle mani degli Spada: «Quando siamo tornati abbiamo trovato una miriade di bambini all’interno della palestra, e abbiamo dovuto attendere la fine della “festa” per chiuderla». E poi, «nel giorno della cerimonia di commemorazione per l’anniversario della morte del giudice Giovanni Falcone, proprio accanto a noi – racconta Sabella – c’era una manifestazione organizzata dalla loro scuola di danza con musica, balli e bambini».
Adesso, il giudice Alfonso Sabella a Ostia non c’è più, ma per lui la situazione non cambia: «Non è solo corruzione, non c’è dubbio che si tratti di mafia». Dopo lo smembramento della Banda della Magliana, molte famiglie hanno risvegliato i propri interessi nel Lazio: i Triassi, di origine siciliana, gli abruzzesi Fasciani e gli Spada, detti “gli zingari”.
Le attività degli Spada
Le mosse degli “zingari” vengono raccontate anche dai due collaboratori di giustizia ritenuti attendibili dai giudici: l’ex spacciatore di droga Michael Cardoni e sua moglie Tamara Ianni. Lo zio di Michael, Giovanni Galleoni, è stato ucciso nel 2011 e suo padre Massimo è stato gambizzato nel 2015. Si tratta di esponenti del gruppo dei “Baficchi”. Nel 2004 arrivano gli Spada, «erano solo manovalanza per conto di altre organizzazioni criminali, in particolare dei Fasciani — racconta il pentito —. Gli unici personaggi di spicco, dotati di vera capacità criminale, erano, all’epoca, Carmine Spada detto Romoletto e suo fratello Roberto, uno che comanda in seno alla famiglia e si occupa del traffico di stupefacenti». Gli Spada avrebbero rafforzato il proprio potere grazie al matrimonio tra la figlia di Franco l’iracheno e il figlio di Spada Enrico detto Pelè.
Una storia che Left aveva già raccontato nel dicembre del 2013 (nel numero 51-52 della rivista, con l’articolo “Stessa spiagga stessa mala”, firmato anch’esso da Fabrizia Caputo ndr).
Spaccio, usura e omicidi. Sono solo alcuni degli ingredienti della storia criminale di Ostia. Da tempo ormai il litorale è in balìa della criminalità organizzata che negli anni, silenziosamente ma non troppo, è riuscita a mettere sotto scacco un’intera provincia. Non si tratta di piccole associazioni criminali, ma di vere e proprie strutture gerarchico piramidali degne di Cosa nostra. Almeno secondo le indagini della procura capitolina, che a luglio 2013 ha tratto in arresto più di 50 persone nell’ambito dell’operazione denominata Nuova alba.
Il patto di non belligeranza
Per anni le famiglie impiantate nella periferia della Capitale si sono fronteggiate in una guerra di mafia per il controllo del territorio. Nel 2007 arriva l’attentato a Vito Triassi, esponente di spicco del clan affiliato ai siciliani Cuntrera, gambizzato nel quartiere di Casal Palocco. Sospettati dell’agguato, alcuni appartenenti al sodalizio Fasciani-Spada. Ma misteriosamente i Cuntrera non reagiscono. Sarà Sebastiano Cassia, pentito siciliano trapiantato a Roma, a far luce sulle attività criminali delle cosche capitoline. Il collaboratore di giustizia racconta di una «pax mafiosa, avvenuta recentemente, tra le due principali famiglie che si dividono il lungomare di Ostia». Piuttosto che innescare una guerra tra clan, le cosche avrebbero preferito stringere un patto di non belligeranza pur di spartirsi gli affari e le zone della città.
Gli attentati
Non si tratta quindi di un romanzo criminale, ma di una realtà criminale, che mette in scacco la libertà dei piccoli e medi commercianti di Ostia e non solo. Usura ed estorsione sono la vera piaga della città balneare. Chi non paga rischia grosso. E la lista di attentati “intimidatori” è lunghissima: nel 2007 un incendio distrugge lo stabilimento balneare “Med”, sulla spiaggia protetta di Capocotta; nel 2009 ben due roghi colpiscono il lido “Buco beach” e il chiosco “Punta Ovest” di Ostia; nel 2010 invece, le fiamme avvolgono la veranda del “Caffè Salerno”; un anno dopo tocca al chiosco “Blanco” e nel 2012 il fuoco arriva sul lungomare, devastando il chiosco “il Capanno”; nel 2013 invece, un incendio ha divorato il “Glam Beach”, un altro chiosco sul lungomare.
Le associazioni e il mutuo anti racket
Lo sa bene Lucia Salvati, preside in pensione di 72 anni, che nel 2013 si è incatenata davanti al Municipio di Ostia per denunciare le pressioni subite dal clan Spada. La cosca avrebbe fatto pressioni sulla donna in modo da farle ritirare un esposto per abuso edilizio presentato contro i vicini di casa. Ma Lucia Salvati non è l’unica vittima ad avere il coraggio di parlare. Mario (il nome è di fantasia) titolare di una piccola impresa edile ha fatto arrestare il suo strozzino: «Tutto è iniziato con un piccolo prestito di 10 milioni di vecchie lire, ma ben presto mi sono ritrovato dentro un incubo», ci spiega. «Nel giro di tre anni, a causa degli interessi, mi sono ritrovato indebitato per circa 220 milioni di lire. Mi sono deciso a denunciare, quando il mio strozzino mi picchiò nel retro del suo locale, lasciando la porta aperta, in modo che i miei figli potessero vedere quello spettacolo atroce». A sostenere i cittadini che vogliono denunciare gli abusi subiti, sul territorio sono presenti molte associazioni. «Purtroppo la situazione criminale è sempre più radicata e con caratteristiche sempre più pericolose», raccontava a Left nel 2013 l’avvocato Luigi Ciatti, presidente dell’Ambulatorio antiusura di Roma e responsabile della Fai, Federazione associazioni antiracket italiane. «Purtroppo, non tutte le vittime sanno che c’è un programma di accesso ai fondi per risanare i debiti da usura». Imprenditori, commercianti, artigiani, professionisti possono accedere a un mutuo previsto dall’articolo 14 della legge 108/96. «Molto spesso – prosegue Ciatti, le vittime sussurrano solo all’orecchio il reato subìto, ma poi non formalizzano la denuncia, rendendo tutto molto più difficile».