L’invito del leader di CasaPound in Rai dalla Annunziata è solo l’ultima tappa di una operazione di revisionismo culturale portata a compimento in un ventennio. Con la complicità del timido antifascismo degli esponenti di tradizione comunista che hanno contribuito a dare vita al Pd

Immaginate se per un momento, il 12 novembre del 2017, fossero tornati in vita alcuni eroi dell’antifascismo italiano e avessero acceso la televisione sul terzo canale durante la trasmissione In mezz’ora. Provate a pensare alla reazione di Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta, Pietro Calamandrei o Sandro Pertini nel vedere Lucia Annunziata intervistare il capo di CasaPound, un’organizzazione dichiaratamente fascista. I suddetti eroi domanderebbero a noi che, a vario titolo, ci definiamo antifascisti come è stato possibile che il fascismo diventasse un’opinione accettabile in questo Paese. In quale momento della storia di una Repubblica che ha fatto dell’antifascismo una delle basi della propria Costituzione, sia stato possibile aprire, sui principali mezzi di informazione, un dibattito con apologeti del regime per combattere il quale i nostri padri costituenti hanno sacrificato così tanto.

Certamente una grande responsabilità è stata di Silvio Berlusconi e del suo riuscitissimo tentativo di “sdoganare i fascisti” e criminalizzare i comunisti italiani. L’operazione di revisionismo culturale portata a compimento negli ultimi venti anni è sotto gli occhi di tutti ed è passata per i “libri neri del comunismo” e la banalizzazione del dibattito sulle foibe. Sono tutte cose vere e drammaticamente importanti ma non bastano per spiegare come mai, oggi, l’antifascismo sia così in difficoltà nel contrastare la “marea nera” che sta invadendo il dibattito pubblico italiano. Per spiegare il fenomeno non basta analizzare e criticare l’incredibile spazio dedicato dalle principali trasmissioni televisive del Paese a compagini che, dal punto di vista elettorale, non avrebbero affatto diritto ad una tale popolarità e diritto di tribuna, compagini che ottengono spazio solo in virtù del loro essere violente e fasciste e che, grazie ad un terribile circolo vizioso, guadagnano presa sulla società anche grazie alla loro spropositata esposizione mediatica.

Parlare di questo è importante, certo, ma non serve ad arrivare alla radice del problema. Credo invece che la responsabilità maggiore di questo disastro sia da imputare alla timidezza dell’antifascismo italiano. Ad un certo punto gli antifascisti italiani e particolarmente gli antifascisti di tradizione comunista, sono diventati troppo timidi rispetto alla loro storia. Penso soprattutto agli esponenti di tradizione comunista che hanno contribuito a dare vita al Partito democratico. Non so se per opportunismo o perché vittime dell’egemonia mediatica del berlusconismo, ma hanno iniziato ad essere meno fieri e meno intransigenti circa la tradizione antifascista di questo Paese e hanno cominciato a balbettare quando si trattava di respingere con forza ogni sorta di dialogo circa la legittimità delle opinioni fasciste. Davanti al classico…

L’articolo di Domenico Cerabona prosegue su Left in edicola


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