Nel 1986, Radio radicale aprì i microfoni agli ascoltatori per ricevere solidarietà in un momento difficile, ma venne colpita da uno tsunami di messaggi carichi d’odio. Fu un segnale d’allarme, inascoltato: oggi nei talk show violenza verbale e “inferiorizzazione dell’altro” sono all’ordine del giorno

Internet ancora non c’era. Faceva caldo in quel luglio 1986. Qualcuno pensava agli amori, altri ai ghiaccioli che sporcavano le dita di colorante. Poteva essere una bella estate. E invece fu l’estate in cui l’odio sgorgò dalle viscere di un’Italia che già odorava la fine del benessere economico. In quell’estate una radio nata 10 anni prima, Radio radicale, visse un momento di grande difficoltà economica. L’emittente fondata da un gruppo di attivisti aveva un ruolo doppio dentro l’etere italiano. Da una parte era la radio del Partito radicale, quindi informava i propri radioascoltatori della vita politica del partito, dall’altra però era una grande radio di servizio attenta non solo ai fatti italiani, ma con un grande occhio agli eventi internazionali. Presto si era ritagliata una bella fetta di radioascoltatori fedeli. Ma in quel luglio 1986 la radio rischiò la chiusura.

Fu allora che il gruppo dirigente decise di sospendere i programmi per dare la parola agli italiani, per avere un messaggio di solidarietà, un abbraccio da chi ogni giorno fruiva dei suoi servizi. Fu così che furono installate trenta segreterie telefoniche. La regola era che i messaggi non potessero durare più di un minuto. Qualche messaggio solidale arrivò effettivamente, ma quello che calò sulla radio fu uno tsunami di messaggi sconcertanti. Nessuno se lo aspettava. Ma il gruppo dirigente decise di mandare comunque tutto in onda, senza censure.
E fu così che in mezzo a Tonino che voleva cercare Carla il suo grande amore e a chi si lamentava dei politici corrotti, si intrufolarono prima alla spicciolata e poi sempre con più ferocia insulti razzisti e omofobi.

E improvvisamente le trenta segreterie si riempirono di quei primi slogan leghisti contro il Sud Italia…

L’articolo di Igiaba Scego prosegue su Left in edicola


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