Inquinamento, distruzione degli habitat marini, sovrasfruttamento, e poi il cambiamento climatico: tutto ciò ha reso l’Oceano indiano meridionale un luogo ostile per la fauna che lo ha sempre popolato. Nel villaggio di Tampolove i pescatori combattono la crisi e la fame con l’acquacoltura

Tampolove, Madagascar. I mari sono sempre più poveri di pesci. È una piaga mondiale, e spesso colpisce popolazioni già da sé vulnerabili. Tra tutti, l’Oceano indiano è uno di quelli più colpiti: di pesce ne è rimasto poco, pochissimo. Per i pescatori del Madagascar è un autentico disastro. «Quando ero un bambino e pescavo insieme ai miei genitori, tornavamo con la piroga piena di pesci, oggi ne pesco un chilo o due», ricorda Samba Lahy, del villaggio di Tampolove, nel sud del Paese. «Nella baia c’erano molti delfini, ma oggi è raro vederli. Sono scomparsi, forse per come abbiamo condotto la pesca». È finita l’era dell’abbondanza, insomma.

La storia di Lahy e degli abitanti di Tampolove è però diversa. Nel piccolo villaggio costiero nel sud del Paese hanno cercato soluzioni per adattarsi al cambiamento. E forse una l’hanno trovata: il villaggio ha formato una comunità e ora sperimenta l’acquacoltura, la coltura dell’alga, un mercato che cresce e una produzione, si spera, sostenibile. Come nel resto degli oceani, anche in Madagascar le risorse marine sono stremate. Il 30% degli stock ittici è pescato a livelli insostenibili. Le risorse si riducono per il sovrasfruttamento, l’inquinamento, la distruzione degli habitat ed il cambiamento climatico. La pesca contribuisce a più del 7% del Pil del Madagascar. Nelle zone rurali essa è la principale fonte di guadagno del Paese, e la più importante sorgente di proteine per le popolazioni costiere.

A peggiorare la situazione c’è poi il cambiamento climatico. Secondo le Nazioni unite dal 2014 le piogge nel sud del Paese sono diminuite del 75% rispetto alla media degli ultimi 20 anni. Almeno 850mila persone vivono in uno stato severo di crisi alimentare. Le colline si inaridiscono e molte famiglie si spostano sulla costa, aumentando la pressione sulle già scarse risorse marine. Le coste faticano a riprendersi, soprattutto ora che le barriere coralline le abbandonano. «Quello delle barriere coralline è un problema che abbiamo trascurato, ma ora è chiaro: i coralli stanno morendo lungo tutte le coste», dice Gildas Todinanahary, dell’Institut halieutique et des sciences marines, della Università di Toliara (Madagascar). Secondo uno studio recente la grande barriera di Toliara, 33 chilometri quadrati di estensione, sta diventando uno scoglio senza vita. Negli ultimi 50 anni il 65% dei coralli è morto, e lui le osserva morire: ogni anno si reca sulla barriera di Toleara e…

Il reportage di Jacopo Pasotti è tratto da Left in edicola


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