C'è chi proclama la propria obiezione “di struttura” ma, ove vi fossero, i presidenti e gli assessori delle Regioni avranno l’obbligo di intervenire

Già prima che la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (testamento biologico) compaia sulla Gazzetta ufficiale, una componente della gerarchia cattolica, alcune organizzazioni cattoliche di operatori sanitari e rappresentanti di strutture sanitarie private cattoliche hanno annunciato che si rifiuteranno di applicarla, appellandosi ad una obiezione di coscienza non prevista dalla legge, anzi esplicitamente vietata per le strutture sanitarie pubbliche e private.
Il comma 9 dell’art. 1 della legge appena approvata, infatti, così recita: “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e la formazione del personale.”
Forse è bene chiarire semplicemente quali conseguenze prevedono le leggi sanitarie attuali della Repubblica italiana a partire dalla riforma del 1992-93 (decreti legislativi n. 502 e n. 517 e successive modificazioni) nel caso in cui una struttura sanitaria violi leggi in materia sanitaria.
Nel caso di una struttura pubblica (cioè di proprietà e gestione pubblica) l’art. 3bis (comma 7 e 7bis) del D.Lgs. 502 prevede che “in caso di violazione di legge ”la Regione debba risolvere il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale” della struttura sanitaria.
Le strutture private per poter erogare prestazioni sanitarie a pagamento per i cittadini debbono essere “autorizzate” dalla Regione. Per poter erogare prestazioni sanitarie per conto della Regione (cioè rimborsate da essa) devono essere “accreditate” da quest’ultima.
Senza entrare in dettagli tecnici ciò significa che sia le strutture private autorizzate che quelle accreditate sono sottoposte ad una serie di controlli della Regione riguardanti gli impianti, la presenza e professionalità del personale e il rispetto della normativa in materia sanitaria.
Dunque se una struttura privata (autorizzata o accreditata) dichiara di non applicare una legge dello Stato in materia sanitaria, la Regione ha l’obbligo di revocarne l’autorizzazione ad erogare qualsiasi prestazione sanitaria, anche a pagamento, cioè a chiuderla sino a quando non dimostri di applicarla.
In sintesi se una struttura sanitaria non garantisce l’applicazione di una legge, la Regione se la struttura è pubblica ha l’obbligo di nominare un nuovo direttore generale, se la struttura è privata ha l’obbligo di chiuderla sino a quando il rispetto della legge non venga ripristinato.
Nel caso in esame, l’obiezione di coscienza per le strutture sanitarie non esiste neanche teoricamente. L’obiezione di coscienza è altra cosa: riguarda infatti la coscienza individuale, non il contratto giuridico di accreditamento o di autorizzazione di una struttura sanitaria. L’obiezione di coscienza o la disobbedienza nei confronti di una legge ritenuta ingiusta è una scelta individuale (anche se condivisa con altri) e può essere densa di conseguenze personali per chi la percorre.
Contro l’obbligatorietà del servizio militare ha comportato il carcere per Roberto Cicciomessere e altri radicali. Contro l’aborto clandestino ha comportato il carcere per Adele Faccio, Gianfranco Spadaccia ed Emma Bonino. Contro le norme di epoca fascista sul suicidio assistito è sotto processo Marco Cappato.
Mai una decisione o un annuncio di operatori sanitari cattolici ha portato ad una qualche conseguenza pur lieve, anzi generalmente ha facilitato carriere ospedaliere e maggiori finanziamenti alle strutture.
Dubito che anche in questo caso ci saranno comportamenti trasparenti da chi in questi giorni proclama la propria obiezione “di struttura” ma, ove vi fossero, i presidenti e gli assessori delle Regioni avranno l’obbligo di intervenire.
Il Lazio è una delle regioni a maggiore densità (numerica ed economica) di strutture sanitarie private cattoliche: è bene che il presidente Zingaretti, responsabile istituzionale della sanità regionale, abbia ben presente i termini del problema.

 

Marcello Crivellini è docente del Politecnico di Milano e consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni