Dal confine tra la Libia e i Paesi a sud – come il Niger – fino agli hotspot italiani, dove vengono trattenute le persone strappate alle onde del mare, destinate sempre più spesso a procedure sommarie di respingimento: lungo la rotta del Mediterraneo centrale i migranti subiscono violazioni dei diritti umani di ogni tipo. E di questo si è parlato a Palermo, nell’ultima sessione del Tribunale permanente dei popoli (Tpp). Dati e testimonianze alla mano. Il Tpp non è un’assise “tradizionale”: si tratta di un tribunale di opinione, fondato nel 1979 dal socialista Lelio Basso e composto da giuristi e politologi di livello internazionale, il cui scopo è documentare e denunciare le violazioni massicce dei diritti dei popoli. Ma la “sentenza” viene emessa sulla base di solidi elementi, tutt’altro che astratti.
I lavori di questa sessione si sono concentrati in particolare sugli effetti del Memorandum d’intesa stipulato il 2 febbraio 2017 con le autorità del Gna (il governo di “riconciliazione nazionale” di Tripoli) sostenuto dalle Nazioni unite. Effetti che si sono verificati sia a terra, con l’aumento del blocco delle partenze da parte di alcune di quelle stesse milizie (come a Sabratha) che in passato avevano largamente profittato del traffico di migranti, che a mare, con il finanziamento, l’assistenza e le forniture alla Guardia costiera libica, collegata con il governo di al-Serraj a Tripoli, ma ancora priva di una effettiva capacità di intervenire in attività Sar (di ricerca e soccorso, ndr) in acque internazionali.
Alla vigilia dell’inizio dei lavori del Tribunale, giungeva la notizia da parte dell’Imo…