Bosnia. Un luogo finto, un outlet dove si vende al turista una storia ricucita ad hoc, per chi alimenta la feroce propaganda nazionalista serba. Negando il genocidio e la pulizia etnica contro i bosniaci. Viaggio nella città della vergogna ideata e costruita dal regista a 100 km da Sarajevo

Il cinema mi ha reso uno specialista del nulla. È l’onniscienza del regista: la specializzazione in nulla”. Parola di Emir Kusturica. Ex bosniaco di Sarajevo. Ex amico della “famiglia regnante” bosniaco-musulmana degli Izetbegović. Secondo qualcuno, viste le ultime prove cinematografiche, ex regista o quasi. Ma non certo specialista del nulla. Lo sta a dimostrare il caso-Andrićgrad, a Višegrad. E lo dimostra il mosaico del frontone di un cinema multisala buono soprattutto come bagno. Ma procediamo con ordine.

Benvenuti nella più giovane antica città in Europa”. Così si legge nel dépliant illustrativo di Andrićgrad. Tanto per complicare la vita del visitatore fin dal primo momento.

Siamo a Višegrad, Bosnia orientale, Valle della Drina. Verdissima e fertile. Andrićgrad di Višegrad è un quartiere. Costruito in posizione strategica – secondo alcune “cattive lingue”, su terreni espropriati in passato a proprietari musulmano-bosniaci e mai resi –, questo confuso e discutibile conglomerato di edifici e di stili è costato una quindicina di milioni di euro, laddove con molti meno soldi sarebbe stato possibile rilanciare la decina di fabbriche cittadine, distrutte ai tempi della guerra del 1992-1995 e mai ricostruite, creando così molta più occupazione stabile che non i ben pochi addetti che lavorano alle attività aperte in questo luogo-non-luogo che sorge alla confluenza tra i fiumi Drina e Rzav.

Ad Andrićgrad ci sono un ristorante, un pub, un negozio di ottica, una banca, un gestore telefonico, una čevabdžinica che offrirebbe “tipici piatti balcanici” come se ne mangiano ovunque, un cinema con tre sale di proiezione, un teatro intitolato a Luchino Visconti, una sedicente Alta scuola di arti dello spettacolo, una libreria con più bottiglie di vino che libri, una gioielleria, un negozio di souvenir che si fa concorrenza – perdendola – con le bancarelle degli ambulanti all’esterno; due caffè, una pizzeria, un hotel e un complesso turistico.

Qualche parola meritano uno dei due bar, l’hotel e la pizzeria. La pizzeria Parma è spacciata dal dépliant come “il posto preferito di Monica Bellucci durante il suo soggiorno ad Andrićgrad, luogo che regolarmente visita”. E la Bellucci, in effetti, almeno due volte – come documentato dalla stampa di regime – ad Andrićgrad c’è stata. La prima, nel gennaio del 2013, con la “città” ancora in costruzione.

La Bellucci è solo uno dei personaggi, neanche il più in vista, tra quelli caduti nella rete di Dodik e del grande ideatore di Andrićgrad, il Professore come lo chiamano qua, al secolo – ma in realtà non più… – Emir Kusturica. Regista e musicista che s’è scoperto costruttore di città…

Una delle “vittime” più note del gatto Dodik e della volpe Kusturica è stato l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica, finito nella rete alla fine di giugno del 2016. Mujica è un uomo che ha legato il suo nome alla lotta per i diritti umani e civili. Curioso che si sia recato a Višegrad per inaugurare la locale fiera del libro senza ricordare le tremila vittime della pulizia etnica serbo-bosniaca – tutti ammazzati tra il maggio del 1992 e l’ottobre del 1994 dai paramilitari serbo-bosniaci delle Aquile bianche, guidati dai cugini Milan e Sredoje Lukić – e abbia accettato di ricevere la medaglia d’argento dell’Ordine della Repubblica serba di Bosnia dalle mani di Dodik come riconoscimento per il suo impegno politico a favore degli ultimi. Onorificenza, quella, creata da Radovan Karadžić (quarant’anni in primo grado al Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia) nel 1993 per premiare coloro che si fossero distinti per meriti speciali a vantaggio dell’Entità serbo-bosniaca costruita sul genocidio e sulla pulizia etnica. Quello per gli ultranazionalisti della Rs è stato un colpo magistrale. Un goal di grande qualità per la propaganda di regime nella partita per la secessione, chiodo fisso di Dodik e del suo amico regista. Tant’è vero che uno dei due bar si chiama proprio Secesija, Secessione, ed è tutto un programma. Si entra e dietro il gigantesco bancone-vetrina torreggiano le gigantografie dei buntovnici, i ribelli. Una vera mistificazione della storia. Una accanto all’altra ecco sfilare le immagini di Geronimo, Mahatma Gandhi, Fidel Castro, Che Guevara e… Vladimir Putin! Una fiera del kitsch. Che continua all’esterno, sulla facciata del vicino multisala, che la maggior parte dei visitatori conosce perché è possibile entrare e fare la pipì gratis. Qui campeggia una sorta di ampio frontone in mosaico. Ritrae scene agresti e di edificazione – evidentemente della patria, nello specifico la Rs. E tra i tanti volti, ecco raffigurati quelli, alquanto ringiovaniti, di Dodik e Kusturica, i cui mezzibusti sorridenti e un po’ beffardi sono intenti a tirare una fune. Scampoli di socialismo in chiave neo-ultranazionalista. Propaganda di regime di prammatica. Ma potrebbe anche trattarsi di una metafora: e se, prima o poi, la corda si spezzasse?

L’hotel vorrebbe, senza risultato, riprendere il gusto e lo stile dello stari most – il ponte cinquecentesco per il quale Višegrad è famosa nel mondo – dando invece l’impressione di essere la porta del regno di Ade.

Basta una breve visita per capire che Andrićgrad è un outlet, un luogo finto. Qua si svende a prezzi scontatissimi il fantasma della storia. Ricucita a immagine e somiglianza di chi la vuole strumentalizzare e plasmare in base alle proprie esigenze, comodi e aspettative.

Andrićgrad è una cosa ridicola! – ride divertita l’architetto Kanita Fočak –. E devo dire, con piacere, che nessuno dei miei colleghi architetti, serbi inclusi, voleva mettere la firma sul progetto di questa… chiamiamola città, prodotto della fantasia di Kusturica, che ha deciso di creare una specie di Disneyland, una sorta di finta città antica, eclettica. Adesso va raccontando in giro che Andrićgrad è sempre stata lì, con la sua fortezza finta, le sue antiche case finte. In realtà le pietre, addirittura gli stipiti delle porte, sono state prese da vere antiche case in giro per la Bosnia. A un certo punto è scoppiato un vero e proprio scandalo quando, a Trebinje, gente che lavorava alla costruzione di Andrićgrad s’è presentata con i camion per caricare le pietre della fortezza ottocentesca che domina la città e utilizzarle per l’edificazione di questa cittadina. Per fortuna quella gente è stata fermata, però ignoriamo dove siano stati prelevati tutti questi reperti antichi utilizzati per edificare Andrićgrad”. Tante belle pietre antiche ma, soprattutto, corrugati in bella vista, telecamere ovunque e giganteschi addetti alla sicurezza.

Per non farsi mancare nulla, Kusturica ha fatto costruire anche le mura di cinta, ciclopiche, e una chiesa ortodossa che guarda l’immissione del fiume Rzav nella Drina. “In realtà è la copia di un’altra antica chiesa ortodossa medievale del Kosovo…– rincara la dose Kanita –. Ad Andrićgrad tutto è finto!”.

Il tutto per la megalomania di un uomo, Kusturica, e di un altro uomo, Dodik, che si sono resi responsabili dell’edificazione di un falso storico, un outlet della storia nel nulla. Il tutto al solo fine di concludere l’opera di serbizzazione e di porre la prima pietra della Rs che Dodik sogna: indipendente e impunita.

Resta ancora una questione di non secondaria importanza. Il quartiere reca il nome di Ivo Andrić. Anzi, si legge nel solito opuscolo, che è “dedicato” al grande scrittore bosniaco. “Ci sono tanti vincitori di premi Nobel nel mondo, ma Ivo Andrić è unico, perché ha la sua città”, si legge. Chissà se Andrić –morto nel 1975 – avrebbe gradito. Ma il problema è grosso. I cittadini di Višegrad, e in modo particolare gli estremisti, tengono enormemente al fatto che Andrić abbia abitato nella loro municipalità. Ma si sono spinti decisamente oltre, fino a – guarda un po’… – falsificare la storia. Una volta di più.

Andrić è nato in una famiglia cattolica di Travnik, nel villaggio di Dolac. Da piccolo – spiega la Fočak – è rimasto orfano di padre e la madre, non avendo di che andare avanti, s’è trasferita a Višegrad da sua sorella, sposata con un gendarme. Così Ivo ha trascorso un periodo della sua vita a Višegrad, dove è andato a scuola. Dopo di che si è spostato a Sarajevo, e lì ha concluso gli studi. Per il fatto che Andrić abbia trascorso qualche anno a Višegrad è stato ribattezzato da certuni come ‘scrittore serbo’, ed è probabile che sia stato grazie all’ignoranza dei politici e degli alti alti gradi serbi e serbo-bosniaci che lo stari most di Višegrad si sia salvato, poiché veniva ‘cantato’ ne Il ponte sulla Drina da uno ‘scrittore serbo’. Altrimenti il ponte vecchio, fatto edificare da Mehmed Paša Sokolović, avrebbe probabilmente fatto la stessa fine dello stari most di Mostar, buttato giù a cannonate dai croati di Bosnia. È probabile che lo stari most debba la sua salvezza ad Andrić e al suo essere ritenuto, a torto, ‘scrittore serbo’, mentre in realtà è sempre stato lo scrittore di tutti gli jugoslavi. Ma non finisce qui. I serbo-bosniaci a Višegrad avevano realizzato una finta casa nativa di Andrić, collocata nella casa di una famiglia musulmana. Quando i veri proprietari sono rientrati in città, i politici serbo-bosniaci sono stati smascherati e hanno dovuto restituire l’abitazione ai loro proprietari. Così oggi a Višegrad non esiste più una casa nativa di Andrić… il che è normale, visto che è nato a Travnik…”.

Seduto a un tavolino sulla piazza di Andrićgrad intitolata a Petar II Petrović Njegos, ottocentesco metropolita ortodosso serbo e principe-vescovo del Montenegro, chiunque in un pomeriggio domenicale può osservare la processione di famigliole serbe passeggiare nella serbissima e “storica” Andrićgrad. Tanti uomini tra i 50 e i 60 anni invitano gli amici, o le famiglie, a scattarsi una foto seduti sul piedistallo sul quale è stato eretto il busto di un anziano e severo, triste, Andrić. In tanti, al momento di farsi immortalare, sfoderano le tre dita care al nazionalismo serbo più estremo: Dio, Zar, Patria. Molti sono ex soldati di Ušice, che nell’aprile del ‘92 bombardarono la città prima di lasciarla, dal 19 maggio, nelle mani dei macellai guidati dai cugini Lukić. Che qui sono considerati eroi.

Povero Andrić, ridotto a mascotte di un nazionalismo serbo che mai avrebbe servito, in un quartiere-outlet covo del peggior estremismo serbo-bosniaco. E tutto per “merito” di Kusturica. Emir…? No. Cioè sì. Lui, ma non più lui. Perché il regista ex-bosniaco non smette mai di stupire. Il Professore, infatti, qualche anno fa ha deciso di convertirsi e di cambiare nome. E per quanto sulle locandine dei suoi film al di fuori della “Grande Serbia” continui a farsi chiamare con l’appellativo di nascita, il musulmano Emir, qui usa la sua nuova denominazione: Nemanja. Non deve averla scelta a caso, il genio sregolato nativo di Sarajevo, classe ‘54. In serbo il prefisso ne indica una negazione; manja può essere tradotto con “piccolo”. In perfetto stile hollywoodiano, il regista ha scelto di appellarsi Not small, uno che non può mai diventare piccolo. Allusione sessuale o espressione d’ego che sia, chissà se si è reso conto d’essersi reso responsabile della costruzione di uno scialbo, insipido, triste e potenzialmente esplosivo parco giochi ultranazionalista.

Ad Andrićgrad ci sono…

Il reportage di Luca Leone è tratto dal numero di Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA