Ogni famiglia, nel corso dell’anno getta via 85 kg di alimenti. Il costo complessivo è di 8 miliardi e mezzo. Ma rispetto al 2016 lo spreco è diminuito del 40%. Anche per merito della campagna di prevenzione che si celebra ogni anno il 5 febbraio. Andrea Segrè ne racconta risultati e obiettivi

Una giornata al MAXXI dedicata alla Prevenzione dello spreco alimentare, che dal 2014 si svolge il 5 febbraio. L’iniziativa, promossa dal ministero dell’Ambiente/progetto Reduce Sei Zero, con l’Università di Bologna e quella della Tuscia, fa il punto e traccia il quadro dello spreco alimentare reale. A farci da guida è l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore di Last minute market e della campagna Spreco Zero, per la quale sono stati ideati i Waste notes: quaderni di economia domestica per appuntare cause e quantità del cibo gettato e liste della spesa. La giornata sarà arricchita dalla mostra inedita di Altan, che illustrerà lo spreco formato vignetta; dalla videoinstallazione “Centogrammi” dell’artista Paolo Scoppola, che ha l’intento di mostrare il giusto equilibrio nell’acquisto del cibo e della sua consumazione attraverso un grande schermo. I lavori di questa giornata saranno condotti da Massimo Cirri, voce storica del programma radiofonico Caterpillar. Lo scopo dell’evento, oltre a fornire i numeri della rilevazione italiana, che rispetto al 2016 parla di una diminuzione, del ben 40%, dello spreco alimentare, è anche quello di sensibilizzare sulla prevenzione. Ma quanto costa, oggi, alle famiglie italiane sprecare il cibo? A rispondere alle domande di Left, Andrea Segrè, professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata dell’Università di Bologna, ma anche presidente del Centro agroalimentare di Bologna, della Fondazione Fico per l’educazione alimentare e alla sostenibilità e della Edmund Mach-Istituto Agrario di San Michele all’Adige. A Segrè, autore di numerosi saggi sull’argomento, si deve l’ideazione, insieme al Ministero, della giornata sulla prevenzione, che il vero antidoto allo spreco.

Professor Segrè, i dati dell’ultimo monitoraggio sugli sprechi alimentari, ci mostrano una considerevole diminuzione. A cosa la dobbiamo?
Questa diminuzione ha due significati: uno dal punto di vista metodologico perché abbiamo allargato il campione di indagine, abbiamo monitorato 400 famiglie che fossero rappresentative dell’Italia. I progetti di stima precedenti erano un campione molto più ridotto. Il secondo è legato all’effetto positivo delle campagne di comunicazione che abbiamo fatto, Spreco Zero per esempio, ma anche alla legge che è stata approvata proprio per facilitare il recupero. Su tutto, credo che le famiglie siano più sensibili. È una buona notizia, ma se guardiamo il dato assoluto, quello di uno spreco, pro capite, di 100 grammi al giorno, capiamo che il margine di riduzione è ancora molto, molto alto.

Un’attività di sensibilizzazione, attraverso alcune campagne, che ancora può migliorare i risultati. Cosa altro è possibile fare?
Sì, ancora c’è molto lavoro da fare. La giornata, appunto, è della “prevenzione” dello spreco alimentare e la prevenzione si fa con l’educazione alimentare. Quindi, dovremmo continuare a insistere perché l’educazione alimentare sia inserita nelle scuole, soprattutto in quelle primarie. Il dato in contrasto, diremmo così, è che rispetto a questo tema, che è importante e che da anni combattiamo, con il motto “la miglior prevenzione è lo spreco che non fai”, è che si può agire facendo educazione alimentare, insegnando soprattutto ai bambini il valore del cibo, il valore di non sprecarlo. Però, è paradossale perché, sempre dalla stessa indagine che abbiamo fatto con il Ministero dell’ambiente, viene fuori che proprio nelle mense scolastiche si getta via ben 1/3 del cibo che viene dato ai bambini. Questo fa riflettere, è un dato abbastanza inquietante perché se dove devi fare educazione alimentare c’è un grande spreco, si capisce che ancora qualcosa non va.

Rispetto all’Europa, l’attenzione italiana come si pone?
Sul dato precedente, in linea perché usavamo la stessa metodologia, adesso non ci sono altri Paesi che abbiano fatto un’analisi quantitativa. Quindi, noi siamo i più virtuosi, ma lo potrebbero essere anche gli altri se avessero questa indagine. Io sono molto contento che il nostro Paese sia stato il primo a fare un’indagine dal punto di vista metodologico sullo spreco domestico perché, al momento, sullo spreco non si può fare alcuna legge.

A proposito di metodi, non crede che questa spiccata, e giustissima, attenzione al biologico, anche nel fare la spesa, come del resto il seguire alcune tipologie di diete, prive di carni, non possano essere di ausilio alla prevenzione?
Queste tendenze, che siano vegetariane, vegane o crudiste, hanno un approccio particolare, molto attento al cibo e, certo, sono tendenzialmente meno sprecone perché chi le adotta ha fatto un ragionamento, un percorso, comunque ha una certa attenzione rispetto al cibo. Non entro nel merito se sia una scelta giusta o sbagliata, ma questi mondi un po’ estremi, queste “tribù alimentari”, come le definisce il mio amico Marino Niola, in realtà rappresentano ancora una nicchia della gran parte delle persone che, invece, mangia cibo spazzatura, acquistando cibo che costa poco; che va a fare spese abbondanti, ricche di calorie, e non si pone il problema se ha fatto un acquisto in eccesso, tanto, al massimo, lo butta via e basta. Doppia spazzatura, quindi: quella che finisce nello stomaco, perché è cibo cattivo; e quella che finisce nel secchio.

Il suo libro Il gusto per le cose giuste. Lettera alla generazione Z è una lettera aperta sul giusto approccio all’acquisto e alla consumazione del cibo, per far capire quanto sia importante non solo per l’uomo, e la sua salute, ma per l’ambiente che lo circonda, trovare un equilibrio. A chi rivolge, esattamente, le sue parole?
In particolare a ragazzi tra i 14/15 e i 28 anni, soprattutto ai ventenni, a quelli che non studiano e non lavorano, che sono la maggior parte. A loro mi rivolgo come target primario; in realtà, anche agli altri e ai genitori. Parlo, quindi, a una parte del nostro mondo, pensando al loro futuro; vorrei che partecipassero un po’ di più alle scelte che stiamo facendo noi, la mia generazione, per loro.

In che cosa differisce la sua generazione?
La mia viene dal baby boom, anche economico, adesso, invece, c’è una stasi demografica. Erano gli inizi degli anni Sessanta, un mondo che rinasceva dopo la guerra. Adesso dopo settant’anni di pace, parlo di Italia e di Europa, c’è una crisi, anche molto forte, che stiamo vivendo da dieci anni. Allo stesso tempo, assistiamo a un rapido progresso, soprattutto nel mondo digitale del lavoro che ha cambiato le coordinate. Non voglio accusare le scelte che abbiamo fatto noi, c’erano delle condizioni che adesso sono cambiate e che dobbiamo essere in grado di interpretare. Chi avrà la nostra età, tra venti o trenta anni, deve partecipare di più adesso e condividere le scelte che si fanno, che stiamo facendo noi.

Sempre in questa Lettera, lei ha coniato il termine “stilmedio”, un vademecum, uno strumento per insegnare il modo giusto per vivere bene, meglio. Lo spiega in “dieci mosse”: crede stia trovando applicazione?
Non mi pare che abbia preso molto, ma io continuo a insistere, secondo me funziona. Lo spiego con una grafica che lo rende comprensibile e applicabile. Dico di metterlo in pratica per cercare un equilibrio. Appunto, uno stile medio, una via intermedia tra la super nicchia, il prodotto di élite e il cibo spazzatura. Ci sarà una via di mezzo che è alla portata di tutti e che fa bene? Per me, il giusto modo è una vita equilibrata. La dieta non è solo restrizione calorica, ma nel suo significato etimologico, fa riferimento proprio allo stile di vita, che deve essere equilibrato. Mangiare bene fa bene alla salute, all’ambiente, al reddito degli agricoltori. Questa “medietà” ti porta fuori dagli eccessi.

Qual è la ragione principale per cui si spreca così tanto?
L’indifferenza! Abbiamo perso la consapevolezza del valore del cibo e questo produce danni all’ambiente, alla salute ma anche all’economia.

È il giorno dei dati ufficiali, professore. Conti alla mano: quanto sprechiamo in Italia?
Ogni famiglia, nel corso, dell’anno getta via 85 kg di alimenti e se si moltiplica il valore, prendendo un costo medio degli alimenti, vengono fuori 8 miliardi e mezzo, che sono lo 0,6% del PIL. Questo è solo un dato economico senza calcolare l’impatto che ha sulle risorse naturali. Per produrre cibo ci vuole terra, acqua e energia, quindi il costo sarebbe molto più alto e le cifre aumenterebbero.
Il 5 febbraio è alle porte: qual è il suo augurio per questa giornata?
Che faccia riflettere sul contrario dello spreco, cercando di capire quale sia il giusto valore da dare al cibo.