Musei italiani: direttori stranieri sì, direttori stranieri no. Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, incassa un nuovo duro colpo, questa volta dal Consiglio di Stato. Dopo il niet ricevuto il 25 maggio 2017 dal Tar quando il Tribunale amministrativo regionale si è pronunciato contro la selezione di cinque dei nuovi direttori, di cui uno straniero (secondo la legge in vigore, si legge nella sentenza del Tar, “il bando della selezione non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”), ora il Consiglio di Stato pur ribaltando parzialmente quella sentenza (regolare la nomina dei direttori) ha messo in discussione la scelta di affidare musei italiani a direttori stranieri. Il tutto, a quasi un mese di distanza dalla firma da parte di settanta tra cattedratici, archeologi, magistrati e giornalisti del Manifesto per la tutela contro la "Riforma Franceschini". «La cultura non può essere consegnata alle logiche di mercato. Un prodotto può essere di grande valore culturale ma non essere redditizio, e quindi occorre mettere confini fra ciò che si fa al servizio dell'umanità e ciò che si fa per profitto. La cultura è un servizio». Parlava così il ministro nel giugno del 2014. Ma sono rimaste belle parole (vedi Left del 15 luglio 2017). Molte cose sono andate in una direzione molto diversa. Musei e pinacoteche - denunciano - sono diventati sempre più palcoscenico di feste ed eventi.  Due giorni dopo la diffusione del Manifesto, per fare un esempio, l'affitto della raggia di Caserta per un matrimonio da 30mila euro. E di fronte all'accusa di molti per la concessione del monumento, il direttore Mauro Felicori ha risposto: «Io non ci vedo niente di male, avremo un ricavo da usare a fini culturali». Perché se è vero che la cultura non deve sottostare alle logiche del mercato, è altrettanto vero che se fa monetizzare è meglio, sostiene il segretario del Pd Matteo Renzi, per il quale «Gli Uffizi sono una macchina da soldi». Così  ha detto fin dal novembre 2012. E di fronte a chi - come l'ex direttore degli Uffizi Antonio Natali - ritiene che i musei debbano essere gratuiti, c'è chi - come il ministro - da luglio 2014 ha reintrodotto il pagamento al botteghino per gli over 65. «Davvero difficile fare le riforme in Italia. Dopo 16 decisioni del Tar e 6 del Consiglio di Stato, quest'ultimo cambia linea e rimette la decisione sui direttori stranieri dei musei all'Adunanza Plenaria. Cosa penseranno nel mondo?», ha twittato Dario Franceschini dopo aver appreso della pubblicazione della sentenza. Non sappiamo cosa si dirà all'estero, ma possiamo scrivere quello che si pensa qui in Italia. Nel “Manifesto per la tutela” infatti si legge: «Le denunce sullo stato penoso della tutela piovono ormai da tutta Italia e quindi il nostro elenco potrebbe continuare a lungo... Chiediamo con forza ai partiti, al futuro Parlamento che questa deriva disastrosa venga fermata e ai media di ogni genere di cominciare almeno ad indagarla, a raccontarla seriamente - non limitandosi alle cifre di facciata, sempre più discutibili - ridando voce alle più collaudate competenze tecnico-scientifiche».

Musei italiani: direttori stranieri sì, direttori stranieri no. Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, incassa un nuovo duro colpo, questa volta dal Consiglio di Stato. Dopo il niet ricevuto il 25 maggio 2017 dal Tar quando il Tribunale amministrativo regionale si è pronunciato contro la selezione di cinque dei nuovi direttori, di cui uno straniero (secondo la legge in vigore, si legge nella sentenza del Tar, “il bando della selezione non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”), ora il Consiglio di Stato pur ribaltando parzialmente quella sentenza (regolare la nomina dei direttori) ha messo in discussione la scelta di affidare musei italiani a direttori stranieri.

Il tutto, a quasi un mese di distanza dalla firma da parte di settanta tra cattedratici, archeologi, magistrati e giornalisti del Manifesto per la tutela contro la “Riforma Franceschini”.

«La cultura non può essere consegnata alle logiche di mercato. Un prodotto può essere di grande valore culturale ma non essere redditizio, e quindi occorre mettere confini fra ciò che si fa al servizio dell’umanità e ciò che si fa per profitto. La cultura è un servizio». Parlava così il ministro nel giugno del 2014. Ma sono rimaste belle parole (vedi Left del 15 luglio 2017).

Molte cose sono andate in una direzione molto diversa. Musei e pinacoteche – denunciano – sono diventati sempre più palcoscenico di feste ed eventi.  Due giorni dopo la diffusione del Manifesto, per fare un esempio, l’affitto della raggia di Caserta per un matrimonio da 30mila euro. E di fronte all’accusa di molti per la concessione del monumento, il direttore Mauro Felicori ha risposto: «Io non ci vedo niente di male, avremo un ricavo da usare a fini culturali».

Perché se è vero che la cultura non deve sottostare alle logiche del mercato, è altrettanto vero che se fa monetizzare è meglio, sostiene il segretario del Pd Matteo Renzi, per il quale «Gli Uffizi sono una macchina da soldi». Così  ha detto fin dal novembre 2012. E di fronte a chi – come l’ex direttore degli Uffizi Antonio Natali – ritiene che i musei debbano essere gratuiti, c’è chi – come il ministro – da luglio 2014 ha reintrodotto il pagamento al botteghino per gli over 65.

«Davvero difficile fare le riforme in Italia. Dopo 16 decisioni del Tar e 6 del Consiglio di Stato, quest’ultimo cambia linea e rimette la decisione sui direttori stranieri dei musei all’Adunanza Plenaria. Cosa penseranno nel mondo?», ha twittato Dario Franceschini dopo aver appreso della pubblicazione della sentenza. Non sappiamo cosa si dirà all’estero, ma possiamo scrivere quello che si pensa qui in Italia. Nel “Manifesto per la tutela” infatti si legge: «Le denunce sullo stato penoso della tutela piovono ormai da tutta Italia e quindi il nostro elenco potrebbe continuare a lungo… Chiediamo con forza ai partiti, al futuro Parlamento che questa deriva disastrosa venga fermata e ai media di ogni genere di cominciare almeno ad indagarla, a raccontarla seriamente – non limitandosi alle cifre di facciata, sempre più discutibili – ridando voce alle più collaudate competenze tecnico-scientifiche».