I Patti lateranensi hanno fatto del Vaticano uno degli Stati più ricchi e potenti del mondo. E hanno gettato le basi per la costituzione di un immenso patrimonio immobiliare. Un quinto degli edifici presenti nel nostro Paese sono di proprietà della Chiesa

Con la firma dei Patti lateranensi, Mussolini pose le fondamenta del potere economico e finanziario del Vaticano, minando al tempo stesso in profondità le già scarse risorse dello Stato italiano. In uno dei due documenti che componevano i Patti, il Trattato (l’altro è il Concordato, poi rinnovato il 18 febbraio 1984 da Craxi), al IV allegato era riportata la Convenzione finanziaria che obbligava l’Italia a versare nelle casse della Santa sede in totale un miliardo e 578 milioni di lire, «in nome della Santissima Trinità». A luglio del 1929 Pio XI incassò dall’“Uomo della provvidenza” la prima rata di 750 milioni di lire. La somma equivaleva al 37,5 per cento delle riserve liquide dell’Italia, che in quel momento, come ha ricostruito Benny Lai in Finanze vaticane (Rubettino ed.), ammontavano a due miliardi di lire. Tre mesi dopo il pagamento monstre, il nostro Paese sarà travolto in queste condizioni, praticamente in brache di tela, dalla Grande depressione che da Wall street si propagò ovunque affossando l’economia mondiale negli anni a venire.

Andò invece decisamente bene ai gerarchi della Chiesa cattolica che grazie al dittatore fascista e sulla pelle dei cittadini italiani attraversarono uno dei periodi più bui della storia umana con le spalle coperte dall’enorme e improvvisa ricchezza (materiale). Fu per poterla gestire che il papa creò l’Amministrazione speciale della Santa sede. Ben presto nell’orbita o, per meglio dire, sotto l’influenza e il controllo di questa potentissima macchina da soldi, finirono diversi istituti italiani, tra cui il Banco di Roma, il Banco di Santo spirito e la cassa di risparmio di Roma. Nel 1942 venne poi fondato da Pio XII lo Ior (Istituto per le opere di religione) e con questa banca il Vaticano iniziò la sua lunga e fruttuosa avventura nel mondo delle speculazioni finanziarie e dei paradisi fiscali (per approfondire, consigliamo la lettura del libro di Turco, Pontesilli, Di Battista, Paradiso Ior, Castelvecchi ed.). L’enorme flusso di denaro che dalle tasche dei contribuenti italiani confluisce da allora nei forzieri della teocrazia confinante – e che ammonta oggi a circa 6,5 miliardi di euro l’anno, come vedremo nell’articolo successivo – trova la sua “pezza d’appoggio” anche nel Concordato siglato l’11 febbraio 1929 e rinnovato il 18 febbraio 1984 da Bettino Craxi, socialista come Mussolini.

Oltre alle ricchezze fin qui accennate, c’è un altro tesoro che fa capo alla Chiesa, paradossalmente molto più visibile e solido ma di cui raramente ci si occupa…

L’articolo di Federico Tulli prosegue su Left in edicola


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).