C’è stata una trattativa tra il governo turco e quello tedesco per liberare Deniz Yucel? E se sì, quale è stata la moneta di scambio del governo di Angela Merkel? È stata una decisione di natura legale o politica? Questa è la domanda che adesso tiene impegnata l’opinione pubblica tedesca, a quattro giorni dalla scarcerazione del giornalista turco-tedesco, Deniz Yucel, corrispondente del quotidiano Die Welt, sul cui sito è comparso un articolo che ha sollevato tali quesiti.
Il cronista, ricordiamo, è stato rilasciato dopo aver trascorso un anno e due giorni in carcere in regime di isolamento nella prigione di Silivri, vicino a Istanbul.
Yucel era stato arrestato con le accuse di «diffusione di propaganda a sostegno di un’organizzazione terroristica» e «incitamento alla violenza» come riporta Amnesty. Il giornalista è finito in manette il 14 febbraio 2017, in seguito alla repressione della libertà di stampa voluta dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e iniziata dopo il fallito tentativo di colpo di Stato del 15 luglio 2016. Yucel era però da tempo nel mirino del presidente turco, che già lo aveva in passato accusato di essere una spia con lo scopo di supportare il Pkk e il movimento dell’alleato di un tempo di Erdogan, l’ex imam e scrittore Fethullah Gulen. Il capo di Stato turco, nel corso di un discorso pubblico, non ha esitato a definire Yucel una spia, come ha riportato il giornale tedesco Der Spiegel sul suo sito il 5 maggio del 2017.
La buona notizia arriva però in un giorno che più buio non potrebbe essere per la libertà di stampa in Turchia: lo stesso giorno della scarcerazione del giornalista, infatti altri 6 cronisti sono stati condannati all’ergastolo. Sono i fratelli Altan, Mehmet e Ahmet, rispettivamente un economista e uno scrittore; i giornalisti Nazlı Ilıcak, Fevzi Yazici, Sukru Tugrul Ozsengul e Yakup Simsek. Tutti quanti sono stati giudicati colpevoli di aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale.
Particolarmente dure le pene, i condannati dovranno infatti passare 23 ore al giorno in isolamento, secondo quanto riferisce Amnesty. Per la direttrice di Amnesty International per l’Europa, Gauri Van Gullk, le condanne hanno «chiaramente l’obiettivo di mettere paura. Sentenze del genere violano non solo la libertà d’espressione ma anche il divieto di tortura e di altri maltrattamenti» continuaVan Gullk che l’ha anche definita una sentenza «politicamente motivata».
I condannati provengono da anime molto diverse della Turchia. Da sempre critico nei confronti di alcuni aspetti della società turca, Ahmet Altan era già assurto all’onore delle cronache nel 1995 quando fu licenziato dal periodico per cui allora scriveva, il Milliyet, per aver redatto un articolo intitolato “Atakurd“, in cui descriveva una realtà alternativa in cui i rapporti di forza tra turchi e curdi nel Paese erano invertiti. Di nuovo nel 2008 era stato accusato dal partito di estrema destra e islamista radicale Bbp, il Partito della grande unità, di aver violato l’articolo 301 del codice penale turco, per aver “denigrato lo spirito turco”, questa volta per un articolo dedicato alle vittime del genocidio armeno. Altan è stato infine arrestato il 23 settembre 2016, e durante la sua prigionia ha scritto il saggio Il paradosso dello scrittore ( autore tradotto e pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o) in cui rivendica la sua capacità di poter scrivere e criticare noncurante del suo stato di carcerato. Altan ha ricevuto solidarietà da moltissimi scrittori e autori come Neil Gaiman e Joanne Harris.
Ha un’altra storia invece la giornalista Nazlı Ilıcak, già parlamentare dal 1999 al 2001 tra le fila del Fp, Partito della virtù, partito che è stato sciolto nel 2001, in seguito ad una decisione della corte costituzionale che ha giudicato incompatibile la natura islamista radicale del partito con gli articoli della costituzione turca che sanciscono la laicità dello Stato. Dal partito sciolto sono nati Sp, Partito della Felicità e proprio il partito dell’attuale premier turco, il Akp, partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Ilicak, secondo le accuse, sarebbe ancora stata vicina a Fethullah Gulen, fino al suo arresto nel luglio del 2016.
Il Centro di Stoccolma per la Libertà, una Ong fondata nel 2017 da giornalisti turchi fuggiti in Svezia per evitare di fare la fine di tanti loro colleghi rimasti in patria, ha stilato un rapporto da cui si evince che sono 33 i giornalisti condannati al carcere, 208 sono quelli arrestati e in stato di fermo, mentre 140 sono ricercati.
Per difendere la libertà di stampa in Turchia, Amnesty International ha lanciato una raccolta firme per chiedere al governo turco di porre fine alla repressione che colpisce gli operatori dell’informazione nel Paese.