Risse, urla e parolacce. È storia, ma anche farsa. La campagna elettorale di Russia è iniziata. Le “vybory”, le elezioni si terranno nella gelida domenica del 18 marzo, temperatura sotto lo zero. Tutte le tv e radio, da Mosca a Vladivostock, sono sintonizzate sugli stessi canali per il dibattito elettorale di chi aspira alla presidenza del Paese più grande del mondo, nonostante tutti i cittadini, candidati compresi, sanno già chi vincerà. Sette candidati che si sfidano tra di loro, eccetto l’ottavo: Vladimir Putin.
Mentre il presidente russo ha usato l’annuale discorso sullo stato della nazione per annunciare che la Russia ha sviluppato una nuova serie di armi nucleari “invincibili”, ecco una breve carrellata sui personaggi e i contenuti del dibattito in corso. “Dittatura brutale” è una delle promesse della sua campagna elettorale. Si lamenta dell’alto costo della vodka oggi, più volte ha accusato la Nato di pianificare un’invasione del territorio russo per “rubare l’acqua potabile”. Ha chiamato due giorni fa la candidata alle presidenziali Ksenia Sobchak “prostituta, idiota senza cervello” durante il primo incontro televisivo della campagna elettorale e lei gli ha tirato contro un bicchiere d’acqua fredda. Proprio quello che ha fatto lui, Vladimir Zirinovskij, nel 1995, quando, testa a testa con Boris Nemtsov, allora governatore di Nizhny Novgorod, afferrò il bicchiere di aranciata per bagnarlo. E poi tentare di picchiarlo, davanti alle telecamere. Per lui questa è la sesta volta: Zirinovskij si è candidato sempre alla presidenza, ad ogni tornata presidenziale della Federazione nata dal collasso dell’Unione Sovietica negli anni Novanta. E non ha vinto mai.
Quando la Sobchak, del partito Iniziativa Civile, ha ricordato a Zirinovskij che Leonid Slutsky, un membro del suo partito, l’LPDR, Partito liberal democratico russo, è sotto processo per molestie sessuali, lui ha ribattuto se quelle erano “notizie che aveva avuto di prima mano”. La Sobchak ha continuato, in piedi al tavolo del Pervij Kanal, a chiedere perché «la Russia prosegue con una politica estera aggressiva, perché dimentica di essere un Paese europeo», e Vyacheslav Smirnov, famoso analista politico televisivo, l’ha paragonata a “un agente del dipartimento americano”, perché l’unica candidata donna ha criticato l’intervento di Putin in Siria ed Ucraina.
Fuori e dentro la Russia. Pavel Grudinin, candidato del partito comunista, il KPRF, delfino del vecchio Zhuganov, vuole invece far uscire la Russia dall’Organizzazione mondiale del Commercio. È lo zar delle fragole, che produce nella fabbrica più grande di tutto il Paese, che ha battezzato in onore del comunista nel mausoleo della Piazza Rossa, Lenin. Oltre al dibattito elettorale, Grudinin è impegnato a respingere accuse: secondo la stampa è un “comunista milionario”, in banca avrebbe 7,5 miliardi di rubli, cioè oltre 100 milioni di euro.
Grudinin non è abbastanza comunista per un altro, giovane candidato alle presidenziali, Maksim Surajkin, che nel 2012 ha fondato il suo Kommunisty Rossii, un ennesimo partito comunista russo. Se Grudinin nega la sua ricchezza, non lo fa l’oligarca Boris Titov, del Partija Rosta, il “partito della crescita”, nato dalle macerie del Pravoe Delo, Causa giusta, o anche “causa di destra”. Se Titov parla agli imprenditori, Serghej Baburin parla ai nazionalisti e ai religiosi per il partito Ros, l’Unione dei popoli russi, che mira a riunire in federazione Russia, Ucraina e Bielorussia.
Risiko, risse, fragole e mele. Rimane l’ultimo, Grigorij Javlinskij, del partito ecologista della mela, questo vuol dire “Jabloko”, e proprio come il resto degli avversari politici, Javlinskij sa che non verrà mai eletto. I sette candidati che si sfidano nei dibattiti tv lo faranno per due settimane e non incontreranno mai l’ottavo, l’unico che corre da indipendente alle elezioni, l’unico che ha rifiutato di fare campagna elettorale, Vladimir Putin.