È scomparso nella sua casa a Cambridge, all’età di 76 anni, l’astrofisico Stephen Hawking. Pubblichiamo il ritratto del grande scienziato che Pietro Greco ha scritto per Left (n.4 del 26 gennaio 2018).
Lo scorso 8 gennaio Stephen Hawking ha compiuto 76 anni, battendo ogni record per un malato di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Il giorno prima con la caratteristica voce metallica del suo computer, il fisico più famoso oggi al mondo, teorico della “quantum gravity”, cui a 21 anni è stata diagnosticata la terribile malattia degenerativa, ha tenuto una Reith Lecture al Royal Institute di Londra. Potrete ascoltare la versione integrale del suo intervento diviso in due sul canale Radio 4 della Bbc in altrettante trasmissioni in onda il 26 gennaio e il 2 febbraio. Ma alle 400 persone che lo ascoltavano in diretta, secondo quanto riportato dal quotidiano inglese The Independent, ha detto: «Il messaggio di questo mio intervento è che i buchi neri non sono così neri come li si dipingono. Non sono prigioni eterne, come un tempo si pensava. Le cose possono uscire da un buco nero in due modi: o tornando all’esterno o ritrovandosi possibilmente in un altro universo. Così, se senti di essere in un buco nero, non arrenderti: c’è sempre una via d’uscita».
Nell’incoraggiamento di questa persona che sta da più di mezzo secolo su una sedia a rotelle impossibilitato a muoversi, ma capace di pensare come pochi altri, c’è la sintesi perfetta della vita di Stephen Hawking: fisico teorico tra i maggiori esperti di buchi neri, intesi come oggetti cosmici, e uomo precipitato nell’abisso oscuro della Sla da cui da oltre cinquant’anni riesce, con un coraggio senza pari, a uscire continuamente.
Alla vita di Stephen Hawking sono stati dedicati libri, fumetti, video e film: tra questi ultimi, il famosissimo The Theory of Everything del 2014, diretto by James Marsh e interpretato da Eddie Redmayne. Ma Stephen Hawking è un grande autore di successo – il suo Dal big bang ai buchi neri. Breve storia dell’universo pubblicato da Rizzoli in Italia nel 1988 è stato ed è tuttora un bestseller mondiale – che ha scritto anche di se stesso: la Breve storia della mia vita, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2013 è la sua autobiografia.
Ebbene, è difficile fare una sintesi di una vita così lontana dalla normalità e così complessa, una vita raccontata da tanti in tante occasione. Ma poiché merita di essere raccontata di nuovo – per i messaggi impliciti ed espliciti che contiene – possiamo scegliere di sintetizzarla in tre parole che gli sono care: buchi neri, computer e coraggio.
I buchi neri sono uno di quegli oggetti previsti dalla teoria generale della relatività di Einstein a lungo cercati e solo di recente empiricamente osservati. O meglio, osservati indirettamente, perché per definizione di buchi neri non si possono vedere. Neppure la luce, infatti, può uscirne. Tuttavia sappiamo che al centro della nostra – e di tante altre galassie – c’è un buco nero supermassiccio intorno a cui ruotano miliardi di stelle e di pianeti. Anche noi con il nostro Sole ruotiamo intorno al buco nero che è al centro della Via lattea. Ebbene, questi oggetti sono oggetti di studio teorico da oltre mezzo secolo da parte di Stephen Hawking, allievo di un grande cosmologo, Dennis Sciama. Ebbene, Hawking ha prima teorizzato che i buchi neri sono cosmic eraser, una sorta di gomma da cancellare cosmica. Perché di tutto ciò che cattura cancella tutto, compresa l’informazione. Poi si è ricreduto. Ed è grazie ai suoi studi che oggi ipotizziamo che i buchi neri, come ha ripetuto a inizio anno a Londra, non sono poi così neri. Sia perché, grazie alla meccanica quantistica, evaporano: ovvero possono perdere materia. Sia perché, grazia alla relatività generale, possono proiettare chi ci capita dentro in un’altra dimensione dello spazio e del tempo. In un altro universo o, anche, in un’altra parte del nostro universo.
Il rapporto tra la relatività generale e la meccanica quantistica è da tempo al centro dell’interesse scientifico di questa mente acutissima che vive in un corpo quasi del tutto immobilizzato. Il motivo, lo ha spiegato al grande pubblico proprio nel best seller del 1988: la relatività generale contiene i germi della sua propria distruzione. Perché se riavvolgiamo il film della storia dell’universo, alla fine troveremo tutta la materia cosmica in un punticino in cui tutti i parametri fondamentali (come la temperatura, la pressione, la densità) raggiungono valori infiniti. E l’infinito non piace ai fisici. È certo che un po’ prima che questo succeda, entri in gioco a scala cosmica la meccanica quantistica a complicare le cose. Non sappiamo esattamente come. Anche perché nessuno finora è riuscito a rendere del tutto compatibili i due pilastri portanti della fisica: la relatività generale e la meccanica quantistica, appunto. Ecco perché Hawking e molti altri sono alla ricerca di una nuova teoria ancora più generale, una teoria del tutto, che le unifichi in un quadro unitario e organico.
Questa “sindrome ionica”, questa necessità, di cercare per via razionale l’intima unità e armonia del mondo fisico, è il “pregiudizio metafisico” che ha guidato e tuttora guida la vita di Stephen Hawking, redivivo filosofo dell’antica Ionia.
Interessante è l’aneddoto che lo vide protagonista, lui ateo, durante una visita in Vaticano, molti anni fa. Lui e un gruppo di suoi eminenti colleghi furono ricevuti da Giovanni Paolo II, che li esortò sì a continuare le ricerche dell’origine del cosmo. Ma li invitò anche a fermarsi prima dell’attimo iniziale, quella della creazione cosmica. Non sapeva, chiosò Stephen Hawking, che era esattamente quello che io stavo cercando senza bisogno di ricorrere a Dio: come e perché l’universo è nato e si dà la pena di esistere.
In questa ricerca Stephen Hawking è uno dei protagonisti assoluti. La sua speranza è poter dire, come Laplace a Napoleone: «Dio? Non ho bisogno di questa ipotesi».
Non potrebbe fare tutto questo (e altro ancora), Stephen Hawking senza il suo computer. Ovvero senza un supporto tecnologico che gli consenta di trasformare il suo pensiero in lettere e suoni. Prima del 1997, Stephen Hawking poteva muovere almeno un dito delle sue mani e con quello agire sulla tastiera di un computer e scrivere. Un sintetizzatore vocale traduceva poi lo scritto in parlato. Ma da vent’anni non può usare nemmeno quel dito. Ed è stato inventato per lui un software capace di trasformare i movimenti del viso nella scelta di un carattere. Da due decenni Hawking scrive letteralmente con la faccia. Il testo può essere poi trasformato in parola. Con un unico difetto, scherza Hawking: «Mi dicono che il mio accento somiglia a quello di uno scandinavo, di un americano o di uno scozzese». E pare che questo per un inglese sia intollerabile.
Ecco, l’ironia sta accompagnando la vita di quest’uomo incapace di muoversi ma desideroso di vivere. Con coraggio. Ecco cosa ha aggiunto, lo scorso 7 gennaio, il giorno prima del suo compleanno, alla Reith Lecture presso il Royal Institute: «Sebbene io sia stato sfortunato a causa della mia malattia motoria, sono stato fortunato in tante altre dimensioni. Ho avuto la fortuna di lavorare in fisica teorica in un periodo affascinante della ricerca. Questo è uno dei pochi settori in cui la mia malattia fisica non ha alcuna influenza. È anche importante non arrabbiarsi nella mia condizione. Non è importante quanto difficile ti possa apparire, perché puoi perdere ogni speranza solo se non riesci a ridere di te stesso e della vita in generale».
È con questo coraggio e voglia di vivere che, andato in pensione nel 2007 quale professore della cattedra lucasiana dell’università di Cambridge (la stessa di Isaac Newton) per raggiunti limiti di età, l’uomo che ha battuto ogni record di sopravvivenza alla Sla è ancora direttore del Department of applied mathematics and theoretical physics nonché fondatore del Centre for theoretical cosmology, presso il medesimo ateneo.
D’altra parte a 76 anni Stephen Hawking riesce ancora a ridere di se stesso e della vita in generale. «E infatti non ho perso la speranza – dice – di coronare il mio grande sogno: salire, un giorno, su un’astronave e andare a zonzo nello spazio».