Mentre Putin conclude la sua campagna elettorale in Crimea, Amnesty international accusa la Russia di aver lanciato una “feroce repressione” nei confronti degli attivisti politici in vista delle elezioni presidenziali, violando sistematicamente i loro diritti attraverso arresti e detenzioni “arbitrari”.
A pochi giorni dalle elezioni presidenziali che si tengono il 18 marzo Putin ritorna in Crimea. Quando è avvenuta l’annessione alla Federazione russa, era il 2014, quell’iniziativa ha attirato condanne e sanzioni internazionali, oltre che l’opposizione del governo ucraino. Quattro anni dopo, Putin cammina sul ponte dello stretto di Kerch, lungo 19 chilometri, che dovrà integrare la penisola con il resto del territorio russo. Il presidente ispeziona l’opera che concluderà la sua impresa di riunificazione e saluta dal palco gli elettori di Sebastopoli, la “città eroe”. Il ponte è una linea di congiunzione simbolica e materiale da attraversare poche ore prima delle urne.
La nuova opera del presidente la chiamano già così: “il ponte di Putin” ed è stata costruita dal suo sparring partner di judo, Arkady Rotenberg, il milionario che possiede la Stroygaznmontazh e che ha detto che «l’unicità del ponte è che tutto quello che ci è voluto per costruirlo è russo». Rotenberg appare nella lista delle persone sanzionate da Usa ed Europa e gli è vietato importare materiali e tecnologie dall’estero.
Dopo Sebastopoli, Mosca. L’appello di Amnesty appena pubblicato parla chiaro: le elezioni si avvicinano e gli attivisti politici sono sottoposti “ad arresti arbitrari e detenzioni”, Mosca sta “deliberatamente” facendo finire nel suo bersaglio l’opposizione che chiede di boicottare le elezioni e la sta mettendo dietro le sbarre. «L’agenda del Cremlino è chiara come il cristallo, le strade devono essere ripulite da chi chiede di boicottare le elezioni negli ultimi passi della campagna presidenziale» ha detto Denis Krivosheev, direttore di Amnesty per l’Europa dell’est e Asia Centrale.