Sono loro le prime vittime della deriva arcaica che il governo e la Chiesa cattolica polacca hanno imposto al Paese. Dopo la grande protesta del 2016, tornano in piazza per dire no alla legge che rende impossibile l’aborto e favorisce pericolose pratiche illegali

«Educazione sessuale!». Il fumo bianco che evapora dalle labbra è quello del suo respiro che scalda la sera gelata. «Non indottrinamento! Educazione sessuale!» urla Ewa, insieme alla sua amica sotto braccio. Nemmeno quarant’anni in due. «Polonia laica, non cattolica!». Varsavia era femmina e vestita di nero alla demon-stracja, la protesta, lo strajk kobiet, lo sciopero delle donne. Dopo il lavoro, da uffici, case, aule universitarie, le ragazze hanno sfilato l’otto marzo vestite di scuro, come la loro rabbia, come la notte che calava insieme alla pioggia, sulla grigia capitale polacca. Perché mamy dost, ne abbiamo abbastanza.

Questi sono prawa kobiet, diritti delle donne, da ricordare e rivendicare sotto le nuvole del nord sopra le loro teste: «Qui non c’è niente da festeggiare, tutto da combattere, bisogna ancora lottare per ottenere la libertà di abortire, qui in Europa, nel 2018», dicono. Strajk kobiet è la scritta sulla bandiera nera, con la sagoma bianca di un volto irato e un fulmine rosso che la trafigge. Il simbolo delle donne polacche da sventolare anche dopo il mercoledì appena trascorso, per molte settimane a venire: è il vessillo della guerra del nord, che deve continuare. Bianco, rosso, nero. I colori di questo lungo marzo polacco. Ogni ombrello nero ha una lettera argentata sopra. Dalla capitale, Varsavia, a Gdansk, Szczecin fino a Wroclaw: una parte della Polonia vuole “#savewomen”, salvare le donne.

È proprio questo il nome della proposta di legge che si oppone all’ultimo cambiamento governativo, che vuole rendere l’aborto impossibile nel Paese, anche quando…

Il reportage di Michela AG Iaccarino dalla Polonia prosegue su Left in edicola


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