Come ogni anno anche nel 2018 si è svolta la bella iniziativa del Fai denominata Giornate di primavera, due appuntamenti in cui, grazie ai volontari del Fondo ambiente italiano, sono visitabili oltre mille luoghi d’arte e di cultura che il resto dell’anno sono chiusi e inaccessibili. Durante la seconda giornata, presso il museo mineralogico dell’università Federico II di Napoli, un gruppo di studenti al quinto anno del liceo classico Vittorio Emanuele II ha fatto emergere una realtà poco nota che mette in discussione uno dei punti cardine dell'iniziativa: la "volontarietà". I fatti sono questi: domenica 25 marzo un gruppo di ragazzi della VB è stato costretto a svolgere il proprio compito di guida turistica volontaria, assegnatogli nel contesto dell’alternanza scuola-lavoro introdotta con la cosiddetta Buona scuola. Costretti a fare i volontari? Esatto: la classe era tornata il giorno prima da una gita all’estero, ed aveva comunicato - con un mese di anticipo - la contrarietà a presentarsi per l’alternanza scuola-lavoro, perché, come si legge nella nota «...stanchi, perché abitiamo lontani dal centro, per pranzare in famiglia, per studiare», cioè condurre la vita di qualunque studente delle superiori. In tutta risposta, la dirigenza della scuola ha minacciato sanzioni disciplinari nel caso non si fossero presentati. A quel punto i giovani hanno deciso di partecipare lo stesso nonostante tutto, ma con una differenza fondamentale: invece di indossare il cartellino del Fai che li identificava come volontari, hanno deciso di indossarne un altro, scritto da loro, dove veniva manifestata la protesta contro l’«alternanza scuola-lavoro sfruttamento». Stando a quanto dichiarato dai ragazzi nella nota e in una intervista rilasciata a Radio onda d’urto, la loro protesta ha riscosso grande successo tra i visitatori del museo. Attratti dal loro “badge”, molti si sono fermati a chiedere informazioni a riguardo. Secondo la ragazza intervistata, quasi nessuno dei visitatori sapeva in cosa consistesse realmente l’alternanza. Le stesse persone si sono poi complimentate con i ragazzi, in quanto hanno dimostrato il loro dissenso, senza però venir meno ai loro impegni. La giovane spiega, inoltre, come le ore di alternanza scuola-lavoro siano un requisito per accedere all’esame di maturità. La protesta non ha riscosso lo stesso successo con la delegata del Fai, che ha cercato di strappare uno dei cartellini indossati dai ragazzi e minacciato gli stessi di non farli ammettere all’esame. Per la delegata, la loro protesta stava infangando il buon nome del Fai. La vicenda era però ancora lontana dal terminare. Lunedì, la delegata del Fondo ambiente italiano è andata a scuola, a pretendere provvedimenti disciplinari dal preside: tutta la classe riceverà 7 in condotta a fine anno. «Ci sentiamo di fronte ad una gravissima negazione della libertà di espressione e soprattutto abbiamo finalmente constatato sulla nostra pelle cosa voglia dire che gli enti privati entrino nella scuola pubblica», si legge nella nota degli studenti. Oltre al danno, la beffa: nonostante abbiano lavorato, senza essere retribuiti, contro la loro volontà, sono anche stati sanzionati per aver espresso dissenso. La classe però rivendica la sua protesta, e anzi fa notare come non solo abbiano svolto il compito che si erano impegnati a portare a termine, ma hanno anche sensibilizzato molte persone su un problema che coinvolge tutti i giovani d’Italia. Il comunicato pubblicato su Facebook dalla classe è stato condiviso più di 5mila volte ed ha ricevuto apprezzamento da più parti, anche se non è mancato chi ha accusato i ragazzi di essere dei pigri scansafatiche. Vista la risonanza che ha avuto la prima nota, la classe ha pubblicato ieri una seconda nota per fare ulteriormente luce sulla vicenda, e chiarire come la questione sia frutto di un equivoco. La protesta infatti, non era diretta al Fai e non aveva alcuna intenzione di infangarne il nome, bensì era rivolta contro l’alternanza scuola-lavoro. Riguardo le critiche di essere soltanto pigri, i ragazzi rispondono: «Noi accogliamo ogni opportunità - tant’è vero che quella domenica, in fin dei conti, eravamo lì a fare le guide - ma rifiutiamo l’obbligo e la non possibilità di scelta». Fanno poi notare come loro siano la prima generazione ad aver intrapreso questo programma, da tre anni a questa parte, e che il loro giudizio è una bocciatura su tutta la linea. Sebbene le opinioni differiscano leggermente da studente a studente, sono comunque tutti e tutte concordi nel dire che l’alternanza scuola-lavoro è «nel migliore dei casi una perdita di tempo, nel peggiore dei casi uno sfruttamento». A fare ulteriore luce sul funzionamento dell’alternanza è Virginia: «Questo è il secondo anno che collaboriamo con il Fai, per un totale di 120 ore sulle 200 obbligatorie di alternanza. In due anni, le giornate in cui abbiamo fatto da guide come quella di domenica sono state appena tre. Le ore restanti le passiamo a scuola con un docente o a fare brevi sopralluoghi in alcuni musei, ma nessuna di queste attività comunque ci aiuta nell’accoglienza dei visitatori durante le poche occasioni di apertura. Ancora più assurdo, quest’anno doveva essere una professoressa di latino e greco a farci lezioni sui minerali, un campo che ovviamente non le compete». Sia l’intervista che la nota, si concludono poi sottolineando come l’alternanza pesi molto sul tempo che gli studenti possono dedicare allo studio e alla vita privata. I giovani rivendicano poi la necessità di una scuola che formi persone, non forza-lavoro, in cui si dia più spazio allo studio, alla ricerca, ai dibattiti, tutte cose a cui l’alternanza toglie spazio. In realtà, il Fai si era già attratto le critiche di Federico Giannini di Finestre sull’arte lo scorso 20 marzo. Nel suo articolo Giannini fa notare come dietro la narrazione entusiasta dei media delle giornate Fai di primavera, si celi una realtà ben diversa. Nonostante le giornate di primavera siano state lodate da figure istituzionali come il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e dal suo sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni, che hanno parlato delle giornate di primavera come un modello da imitare per valorizzare il patrimonio culturale e avvicinare i cittadini allo stesso, sono diversi i punti critici che Giannini ha identificato nelle giornate di primavera. Innanzitutto, dice Giannini, è sì giusto lodare l’iniziativa del Fai che rende visitabili luoghi altrimenti inaccessibili, ma allo stesso tempo il dibattito pubblico dovrebbe concentrarsi sul perché gli stessi luoghi restino chiusi i restanti 363 giorni. Giannini porta inoltre come esempio, negativo, quello di alcuni luoghi che anche nelle due giornate di primavere sono visitabili soltanto da soci Fai, o che hanno delle fasce orario a loro riservate. C’è poi la questione in cui sono stati coinvolti gli studenti napoletani: quella dei volontari. Le giornate di primavera impiegano circa 40mila studenti volontari, i quali, oltre a non venire neanche ringraziati sul sito del Fai, sono costretti a sobbarcarsi il lavoro che invece spetterebbe a figure professionali che hanno studiato anni per prepararsi a tale compito. In ultimo c’è la questione della collaborazione tra pubblico e privato, particolarmente lodata da Franceschini e Borletti Buitoni. Nell’articolo di Finestre sull’Arte, si fa anche notare come il modello che segue il Fai possa andare bene in situazioni d’emergenza, ma se ricorrere a lavoratori volontari per sostituire figure professionali diventa la norma, allora è tutto il sistema ad essere malato. L’articolo di Giannini non è passato inosservato, ed ha stimolato la risposta del vicepresidente del Fai, Marco Magnifico. In un articolo apparso sul sito emergenzacultura.org il 21 marzo scorso, Magnifico rivendica la funzione di denuncia propositiva delle giornate di primavera, che nelle intenzioni degli organizzatori dovrebbero portare all’attenzione del pubblico e della politica quei luoghi d’arte e di cultura ad oggi non valorizzati, se non solo durante appunto le giornate di primavera. Stando a Magnifico, le giornate di primavera dovrebbero anche essere un’occasione per i giovani volontari di mettersi in gioco e di fare un’esperienza dall’alto valore formativo. Nella risposta si cita anche il fatto che sono sempre di più le amministrazioni locali che chiedono al Fai di aggiungere alcuni siti di loro competenza tra quelli visitabili durante le giornate di primavera. La replica di Giannini non si è fatta attendere, e il 23 marzo scorso ha risposto a Magnifico. Secondo Giannini, l’aspetto di denuncia delle giornate di primavera passa del tutto in secondo piano, rispetto al trionfalismo con cui di solito viene trattato l’argomento. C’è poi sempre il problema dei volontari, per cui queste giornate rappresentano sì una occasione di formazione, ma che uno studente volontario non potrà mai sostituire un professionista formato appositamente per organizzare visite guidate che si rivolgono ad un pubblico adulto. Per tacere del fatto che per poter esercitare la professione che svolge un volontario, serve un’abilitazione. In ultimo, per Giannini non c’è da rallegrarsi se un’amministrazione locale chiede aiuto al Fai per valorizzare un sito: il primo a cui rivolgersi per un comune dovrebbe essere il Mibact, non un ente privato. A concludere tutti ciò, si è inserito nel dibattito anche il collettivo di professionisti (o aspiranti tali) che hanno voluto rivolgere otto domande al Fai, attraverso un post apparso sul loro blog il 26 marzo scorso.

Come ogni anno anche nel 2018 si è svolta la bella iniziativa del Fai denominata Giornate di primavera, due appuntamenti in cui, grazie ai volontari del Fondo ambiente italiano, sono visitabili oltre mille luoghi d’arte e di cultura che il resto dell’anno sono chiusi e inaccessibili. Durante la seconda giornata, presso il museo mineralogico dell’università Federico II di Napoli, un gruppo di studenti al quinto anno del liceo classico Vittorio Emanuele II ha fatto emergere una realtà poco nota che mette in discussione uno dei punti cardine dell’iniziativa: la “volontarietà”.

I fatti sono questi: domenica 25 marzo un gruppo di ragazzi della VB è stato costretto a svolgere il proprio compito di guida turistica volontaria, assegnatogli nel contesto dell’alternanza scuola-lavoro introdotta con la cosiddetta Buona scuola. Costretti a fare i volontari? Esatto: la classe era tornata il giorno prima da una gita all’estero, ed aveva comunicato – con un mese di anticipo – la contrarietà a presentarsi per l’alternanza scuola-lavoro, perché, come si legge nella nota «…stanchi, perché abitiamo lontani dal centro, per pranzare in famiglia, per studiare», cioè condurre la vita di qualunque studente delle superiori.

In tutta risposta, la dirigenza della scuola ha minacciato sanzioni disciplinari nel caso non si fossero presentati. A quel punto i giovani hanno deciso di partecipare lo stesso nonostante tutto, ma con una differenza fondamentale: invece di indossare il cartellino del Fai che li identificava come volontari, hanno deciso di indossarne un altro, scritto da loro, dove veniva manifestata la protesta contro l’«alternanza scuola-lavoro sfruttamento». Stando a quanto dichiarato dai ragazzi nella nota e in una intervista rilasciata a Radio onda d’urto, la loro protesta ha riscosso grande successo tra i visitatori del museo. Attratti dal loro “badge”, molti si sono fermati a chiedere informazioni a riguardo. Secondo la ragazza intervistata, quasi nessuno dei visitatori sapeva in cosa consistesse realmente l’alternanza. Le stesse persone si sono poi complimentate con i ragazzi, in quanto hanno dimostrato il loro dissenso, senza però venir meno ai loro impegni. La giovane spiega, inoltre, come le ore di alternanza scuola-lavoro siano un requisito per accedere all’esame di maturità.

La protesta non ha riscosso lo stesso successo con la delegata del Fai, che ha cercato di strappare uno dei cartellini indossati dai ragazzi e minacciato gli stessi di non farli ammettere all’esame. Per la delegata, la loro protesta stava infangando il buon nome del Fai.

La vicenda era però ancora lontana dal terminare. Lunedì, la delegata del Fondo ambiente italiano è andata a scuola, a pretendere provvedimenti disciplinari dal preside: tutta la classe riceverà 7 in condotta a fine anno. «Ci sentiamo di fronte ad una gravissima negazione della libertà di espressione e soprattutto abbiamo finalmente constatato sulla nostra pelle cosa voglia dire che gli enti privati entrino nella scuola pubblica», si legge nella nota degli studenti. Oltre al danno, la beffa: nonostante abbiano lavorato, senza essere retribuiti, contro la loro volontà, sono anche stati sanzionati per aver espresso dissenso. La classe però rivendica la sua protesta, e anzi fa notare come non solo abbiano svolto il compito che si erano impegnati a portare a termine, ma hanno anche sensibilizzato molte persone su un problema che coinvolge tutti i giovani d’Italia.

Il comunicato pubblicato su Facebook dalla classe è stato condiviso più di 5mila volte ed ha ricevuto apprezzamento da più parti, anche se non è mancato chi ha accusato i ragazzi di essere dei pigri scansafatiche. Vista la risonanza che ha avuto la prima nota, la classe ha pubblicato ieri una seconda nota per fare ulteriormente luce sulla vicenda, e chiarire come la questione sia frutto di un equivoco. La protesta infatti, non era diretta al Fai e non aveva alcuna intenzione di infangarne il nome, bensì era rivolta contro l’alternanza scuola-lavoro. Riguardo le critiche di essere soltanto pigri, i ragazzi rispondono: «Noi accogliamo ogni opportunità – tant’è vero che quella domenica, in fin dei conti, eravamo lì a fare le guide – ma rifiutiamo l’obbligo e la non possibilità di scelta». Fanno poi notare come loro siano la prima generazione ad aver intrapreso questo programma, da tre anni a questa parte, e che il loro giudizio è una bocciatura su tutta la linea. Sebbene le opinioni differiscano leggermente da studente a studente, sono comunque tutti e tutte concordi nel dire che l’alternanza scuola-lavoro è «nel migliore dei casi una perdita di tempo, nel peggiore dei casi uno sfruttamento».

A fare ulteriore luce sul funzionamento dell’alternanza è Virginia: «Questo è il secondo anno che collaboriamo con il Fai, per un totale di 120 ore sulle 200 obbligatorie di alternanza. In due anni, le giornate in cui abbiamo fatto da guide come quella di domenica sono state appena tre. Le ore restanti le passiamo a scuola con un docente o a fare brevi sopralluoghi in alcuni musei, ma nessuna di queste attività comunque ci aiuta nell’accoglienza dei visitatori durante le poche occasioni di apertura. Ancora più assurdo, quest’anno doveva essere una professoressa di latino e greco a farci lezioni sui minerali, un campo che ovviamente non le compete».

Sia l’intervista che la nota, si concludono poi sottolineando come l’alternanza pesi molto sul tempo che gli studenti possono dedicare allo studio e alla vita privata. I giovani rivendicano poi la necessità di una scuola che formi persone, non forza-lavoro, in cui si dia più spazio allo studio, alla ricerca, ai dibattiti, tutte cose a cui l’alternanza toglie spazio.

In realtà, il Fai si era già attratto le critiche di Federico Giannini di Finestre sull’arte lo scorso 20 marzo. Nel suo articolo Giannini fa notare come dietro la narrazione entusiasta dei media delle giornate Fai di primavera, si celi una realtà ben diversa. Nonostante le giornate di primavera siano state lodate da figure istituzionali come il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e dal suo sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni, che hanno parlato delle giornate di primavera come un modello da imitare per valorizzare il patrimonio culturale e avvicinare i cittadini allo stesso, sono diversi i punti critici che Giannini ha identificato nelle giornate di primavera. Innanzitutto, dice Giannini, è sì giusto lodare l’iniziativa del Fai che rende visitabili luoghi altrimenti inaccessibili, ma allo stesso tempo il dibattito pubblico dovrebbe concentrarsi sul perché gli stessi luoghi restino chiusi i restanti 363 giorni. Giannini porta inoltre come esempio, negativo, quello di alcuni luoghi che anche nelle due giornate di primavere sono visitabili soltanto da soci Fai, o che hanno delle fasce orario a loro riservate.

C’è poi la questione in cui sono stati coinvolti gli studenti napoletani: quella dei volontari. Le giornate di primavera impiegano circa 40mila studenti volontari, i quali, oltre a non venire neanche ringraziati sul sito del Fai, sono costretti a sobbarcarsi il lavoro che invece spetterebbe a figure professionali che hanno studiato anni per prepararsi a tale compito.

In ultimo c’è la questione della collaborazione tra pubblico e privato, particolarmente lodata da Franceschini e Borletti Buitoni. Nell’articolo di Finestre sull’Arte, si fa anche notare come il modello che segue il Fai possa andare bene in situazioni d’emergenza, ma se ricorrere a lavoratori volontari per sostituire figure professionali diventa la norma, allora è tutto il sistema ad essere malato.

L’articolo di Giannini non è passato inosservato, ed ha stimolato la risposta del vicepresidente del Fai, Marco Magnifico. In un articolo apparso sul sito emergenzacultura.org il 21 marzo scorso, Magnifico rivendica la funzione di denuncia propositiva delle giornate di primavera, che nelle intenzioni degli organizzatori dovrebbero portare all’attenzione del pubblico e della politica quei luoghi d’arte e di cultura ad oggi non valorizzati, se non solo durante appunto le giornate di primavera. Stando a Magnifico, le giornate di primavera dovrebbero anche essere un’occasione per i giovani volontari di mettersi in gioco e di fare un’esperienza dall’alto valore formativo. Nella risposta si cita anche il fatto che sono sempre di più le amministrazioni locali che chiedono al Fai di aggiungere alcuni siti di loro competenza tra quelli visitabili durante le giornate di primavera.

La replica di Giannini non si è fatta attendere, e il 23 marzo scorso ha risposto a Magnifico. Secondo Giannini, l’aspetto di denuncia delle giornate di primavera passa del tutto in secondo piano, rispetto al trionfalismo con cui di solito viene trattato l’argomento. C’è poi sempre il problema dei volontari, per cui queste giornate rappresentano sì una occasione di formazione, ma che uno studente volontario non potrà mai sostituire un professionista formato appositamente per organizzare visite guidate che si rivolgono ad un pubblico adulto. Per tacere del fatto che per poter esercitare la professione che svolge un volontario, serve un’abilitazione. In ultimo, per Giannini non c’è da rallegrarsi se un’amministrazione locale chiede aiuto al Fai per valorizzare un sito: il primo a cui rivolgersi per un comune dovrebbe essere il Mibact, non un ente privato.

A concludere tutti ciò, si è inserito nel dibattito anche il collettivo di professionisti (o aspiranti tali) che hanno voluto rivolgere otto domande al Fai, attraverso un post apparso sul loro blog il 26 marzo scorso.