È curioso che i due, Di Maio e Salvini, si trasformino improvvisamente in quieti adoratori delle istituzioni e sfegatati seguaci del presidente della Repubblica in vista delle prossime consultazioni. È curioso (e piuttosto pericoloso) che da ormai un mese riescano nel misero giochino del dichiarasi vincitori di elezioni che non ha vinto nessuno e pure insistano nel maramaldeggiare un incarico che gli spetterebbe - dicono loro - di diritto nutrendo grandi aspettative per il loro primo appuntamento con Mattarella come se fosse lui la chiave di volta di uno stallo che invece richiederebbe solo un po' di concreta politica. Di Maio insiste nel pretendere di essere presidente del Consiglio poiché era suo il nome sotto il simbolo del Movimento 5 stelle sulla scheda elettorale e fa niente che la legge elettorale non prevedesse nessuna indicazione in questo senso. A forza di continuare a insistere con la semplificazione (ma l'hanno fatto in molti, anche a sinistra) lo slogan pubblicitario è diventato un atto politico che dovremmo accettare come regola per la popolarità della consuetudine, evidentemente. Quando il Movimento 5 stelle presentò la squadra dei ministri qualcuno provò a dire che nonostante lo spettacolino funzionasse parecchio in questi tempi di confusa ignoranza delle regole e della democrazia esiste un iter consolidato e normato per costituire un governo, qualcosa di un po' più complesso di un sfilata in stile calcistico a inizio stagione. Nelle prossime ore sarà Mattarella, a ripeterglielo. Dall'altra parte Matteo Salvini non sa più cosa inventarsi per usurpare i voti di Berlusconi facendo finta che Berlusconi non esista. E così rivendica il risultato della coalizione di centrodestra (che è sicura e serena come un safari in cabriolet) fingendo che sia tutto suo e usa tutti questi ultimi giorni per imparare la parte del responsabile istituzionale sperando che ci si dimentichi in fretta dei suoi conati sparsi contro tutti in questi ultimi anni. Anche lui, ovviamente, ha scambiato un hashtag per una promessa che chissà chi dovrebbe concedergli e continua a farsi immortalare con la faccia tronfia di chi si apparecchia da premier. Il punto è che nessuno ha la maggioranza parlamentare. Nessuno dei due. E Di Maio non vuole Berlusconi anche se si terrebbe volentieri Salvini e Salvini d'altro canto non può permettersi di fidanzarsi con Di Maio tenendo in disparte Berlusconi. Tutto esattamente come un minuto dopo le elezioni. Tutto fermo. Tutto uguale. È passato un mese, abbiamo assistito a una moltitudine di schermaglie e di foto in posa ma non è cambiato niente. Non è servito a niente. Sotto i proclami un mese di niente. E ora quelli del «rispettare la volontà del popolo» si affidano a Mattarella. Che gli dirà, con il solito garbo e con poco agio, che il popolo ha chiesto a Di Maio e Salvini di fare politica, oltre ai post su Facebook. Buon martedì.

È curioso che i due, Di Maio e Salvini, si trasformino improvvisamente in quieti adoratori delle istituzioni e sfegatati seguaci del presidente della Repubblica in vista delle prossime consultazioni. È curioso (e piuttosto pericoloso) che da ormai un mese riescano nel misero giochino del dichiarasi vincitori di elezioni che non ha vinto nessuno e pure insistano nel maramaldeggiare un incarico che gli spetterebbe – dicono loro – di diritto nutrendo grandi aspettative per il loro primo appuntamento con Mattarella come se fosse lui la chiave di volta di uno stallo che invece richiederebbe solo un po’ di concreta politica.

Di Maio insiste nel pretendere di essere presidente del Consiglio poiché era suo il nome sotto il simbolo del Movimento 5 stelle sulla scheda elettorale e fa niente che la legge elettorale non prevedesse nessuna indicazione in questo senso. A forza di continuare a insistere con la semplificazione (ma l’hanno fatto in molti, anche a sinistra) lo slogan pubblicitario è diventato un atto politico che dovremmo accettare come regola per la popolarità della consuetudine, evidentemente. Quando il Movimento 5 stelle presentò la squadra dei ministri qualcuno provò a dire che nonostante lo spettacolino funzionasse parecchio in questi tempi di confusa ignoranza delle regole e della democrazia esiste un iter consolidato e normato per costituire un governo, qualcosa di un po’ più complesso di un sfilata in stile calcistico a inizio stagione. Nelle prossime ore sarà Mattarella, a ripeterglielo.

Dall’altra parte Matteo Salvini non sa più cosa inventarsi per usurpare i voti di Berlusconi facendo finta che Berlusconi non esista. E così rivendica il risultato della coalizione di centrodestra (che è sicura e serena come un safari in cabriolet) fingendo che sia tutto suo e usa tutti questi ultimi giorni per imparare la parte del responsabile istituzionale sperando che ci si dimentichi in fretta dei suoi conati sparsi contro tutti in questi ultimi anni. Anche lui, ovviamente, ha scambiato un hashtag per una promessa che chissà chi dovrebbe concedergli e continua a farsi immortalare con la faccia tronfia di chi si apparecchia da premier.

Il punto è che nessuno ha la maggioranza parlamentare. Nessuno dei due. E Di Maio non vuole Berlusconi anche se si terrebbe volentieri Salvini e Salvini d’altro canto non può permettersi di fidanzarsi con Di Maio tenendo in disparte Berlusconi. Tutto esattamente come un minuto dopo le elezioni. Tutto fermo. Tutto uguale. È passato un mese, abbiamo assistito a una moltitudine di schermaglie e di foto in posa ma non è cambiato niente. Non è servito a niente. Sotto i proclami un mese di niente. E ora quelli del «rispettare la volontà del popolo» si affidano a Mattarella. Che gli dirà, con il solito garbo e con poco agio, che il popolo ha chiesto a Di Maio e Salvini di fare politica, oltre ai post su Facebook.

Buon martedì.