Mille in marcia. In fuga da povertà, narcotraffico, persecuzione politica. Dal cuore delle violenze in Sud America. Partiti da Honduras, Guatemala, El Salvador. Si sono messi in cammino per raggiungere il confine della salvezza americano giorni fa, ma adesso sono stati fermati a Matias Romero, un villaggio povero nello stato poverissimo del sud, Oaxaca, Messico. La “carovana dei migranti”, fiume umano unito di centinaia di richiedenti asilo e rifugiati, oggi è stata fermata, smantellata, e dispersa dalle divise messicane. I più vulnerabili riceveranno un visto umanitario di un anno, agli altri è stato chiesto di lasciare il Paese. Alcuni si sono arresi, altri sono in attesa di registrazione per i documenti temporanei, molti rimangono fedeli al sogno di quando sono partiti e stanno già proseguendo il cammino da soli, per attraversare il confine armato e arrivare nella terra promessa a stelle e strisce. Da cinquant'anni i membri dell'organizzazione americana Pueblo sin fronteras, gli ideatori della carovana, aiutano i migranti in fuga: «Siamo un collettivo di amici che ha deciso di essere in solidarietà permanente con sfollati e apolidi, accompagniamo i rifugiati nel loro viaggio di speranza e richiesta di diritti umani, evitiamo che vengano avvicinati e sfruttati dai cartelli» durante il percorso verso il confine. La carovana viene organizzata ogni anno dal 2010 perché sono migrantes en la lucha, migranti in lotta. Dall'altro lato del confine, a nord, servizi e reportage giornalistici sugli schermi e giornali americani negli ultimi giorni avevano titoli come questo: “Un'enorme carovana dal Centro America sta arrivando negli Stati Uniti e nessuno osa fermarla”, “Un'enorme sfida per la politica migratoria dell'amministrazione Trump e la sua abilità di gestire un gruppo di migranti organizzato”. I tweet del presidente a cascata hanno risposto alla nazione: contro questa carovana il Congresso dovrebbe usare «l'opzione nucleare se necessario, per fermare il flusso massivo di droghe e persone». Trump ha poi promesso di nuovo di costruire il muro, ma anche di spedire l'esercito dalla Us border patrol al confine. Bersagli dell'attacco sui social sono diventati i suoi soliti nemici: «La debole legge americana», il Messico e i democratici.

Mille in marcia. In fuga da povertà, narcotraffico, persecuzione politica. Dal cuore delle violenze in Sud America. Partiti da Honduras, Guatemala, El Salvador. Si sono messi in cammino per raggiungere il confine della salvezza americano giorni fa, ma adesso sono stati fermati a Matias Romero, un villaggio povero nello stato poverissimo del sud, Oaxaca, Messico. La “carovana dei migranti”, fiume umano unito di centinaia di richiedenti asilo e rifugiati, oggi è stata fermata, smantellata, e dispersa dalle divise messicane.

I più vulnerabili riceveranno un visto umanitario di un anno, agli altri è stato chiesto di lasciare il Paese. Alcuni si sono arresi, altri sono in attesa di registrazione per i documenti temporanei, molti rimangono fedeli al sogno di quando sono partiti e stanno già proseguendo il cammino da soli, per attraversare il confine armato e arrivare nella terra promessa a stelle e strisce.

Da cinquant’anni i membri dell’organizzazione americana Pueblo sin fronteras, gli ideatori della carovana, aiutano i migranti in fuga: «Siamo un collettivo di amici che ha deciso di essere in solidarietà permanente con sfollati e apolidi, accompagniamo i rifugiati nel loro viaggio di speranza e richiesta di diritti umani, evitiamo che vengano avvicinati e sfruttati dai cartelli» durante il percorso verso il confine. La carovana viene organizzata ogni anno dal 2010 perché sono migrantes en la lucha, migranti in lotta.

Dall’altro lato del confine, a nord, servizi e reportage giornalistici sugli schermi e giornali americani negli ultimi giorni avevano titoli come questo: “Un’enorme carovana dal Centro America sta arrivando negli Stati Uniti e nessuno osa fermarla”, “Un’enorme sfida per la politica migratoria dell’amministrazione Trump e la sua abilità di gestire un gruppo di migranti organizzato”.

I tweet del presidente a cascata hanno risposto alla nazione: contro questa carovana il Congresso dovrebbe usare «l’opzione nucleare se necessario, per fermare il flusso massivo di droghe e persone». Trump ha poi promesso di nuovo di costruire il muro, ma anche di spedire l’esercito dalla Us border patrol al confine. Bersagli dell’attacco sui social sono diventati i suoi soliti nemici: «La debole legge americana», il Messico e i democratici.