«Il Parlamento sembra aver dimenticato del tutto che lo Stato italiano sia stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per sistematici trattamenti inumani e degradanti», questa la dura accusa lanciata dall’ex deputata del Partito radicale Rita Bernardini, in seguito alla mancata inclusione della riforma carceraria tra i temi da trattare nelle commissioni speciali di Camera e Senato per gli atti urgenti di governo. A votare contro la discussione dei decreti della riforma sono stati M5s, Lega, Fi e Fdi. Il compito delle commissioni speciali è quello di occuparsi degli atti del governo, in attesa che si chiarisca la composizione di maggioranza e opposizione parlamentari, e possano dunque insediarsi le commissioni permanenti. Al Senato, l'organo è presieduto da Vito Crimi, senatore M5s, mentre per la carica omologa alla Camera i pentastellati avevano espresso la volontà di convergere su un nome della Lega nord, e le indiscrezioni danno come favorito il leghista Nicola Molteni (fino a martedì, il favorito era Giancarlo Giorgetti). Le commissioni si sarebbero dovute limitare a fornire un parere obbligatorio ma non vincolante sulla riforma, che sarebbe poi tornata in mano al governo, che avrebbe potuto approvare definitivamente il testo, esercitando  così la delega fornita dal Parlamento. «Ai fautori di “più gogna per tutti” - continua Bernardini - in nome della “sicurezza”, ricordo che la pena da infliggere ai colpevoli non deve essere esclusivamente il carcere che crea recidiva; si possono prevedere altre misure. Misure alternative che sono più efficaci per un futuro reinserimento sociale». Bernardini sottolinea come la necessità dell’introduzione di pene alternative, come previsto dalla riforma, sia supportata da diversi studi e raccomandata anche dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (un’organizzazione sovranazionale separata dall’Ue, ndr) che «in un pronunciamento del 2017, prevedeva espressamente che il diritto interno di ogni Paese comunitario persegua la riduzione del ricorso alle pene detentive in carcere, attraverso la disciplina di sanzioni e misure che non privino il soggetto della libertà personale». Ma per Bernardini, e per tutti coloro che hanno manifestato il proprio impegno per l'approvazione della riforma, come l'Unione delle camere penali italiane, giuristi, associazioni e gran parte della comunità penitenziaria, la battaglia non finisce qui. La promessa, lanciata da Bernardini, è quella di continuare a presentare ricorsi e dossier alle corti italiane ed europee, per denunciare la sistematica violazione dei diritti umani nelle carceri italiane. Anche il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, è intervenuto sulla questione: «Negare un passaggio meramente consultivo finale - ha detto - che non prevede possibilità di intervento di merito denota una disattenzione grave rispetto all’ampio mondo di coloro che tale provvedimento da tempo attendono». Il garante esprime amarezza per la decisione della commissione, e fa notare come anche l’Europa avesse lodato l’iniziativa della riforma: «L’Europa, pur partendo da una prospettiva di sanzione nel 2013 per condizioni detentive irrispettose della dignità della persona, è giunta a riconoscere i passi che l’Italia ha compiuto per sanare tale grave criticità». Ma, con tale decisione, il Parlamento esprime la volontà di interrompere questo percorso, col rischio che la riforma finisca nel dimenticatoio.

«Il Parlamento sembra aver dimenticato del tutto che lo Stato italiano sia stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per sistematici trattamenti inumani e degradanti», questa la dura accusa lanciata dall’ex deputata del Partito radicale Rita Bernardini, in seguito alla mancata inclusione della riforma carceraria tra i temi da trattare nelle commissioni speciali di Camera e Senato per gli atti urgenti di governo. A votare contro la discussione dei decreti della riforma sono stati M5s, Lega, Fi e Fdi.

Il compito delle commissioni speciali è quello di occuparsi degli atti del governo, in attesa che si chiarisca la composizione di maggioranza e opposizione parlamentari, e possano dunque insediarsi le commissioni permanenti. Al Senato, l’organo è presieduto da Vito Crimi, senatore M5s, mentre per la carica omologa alla Camera i pentastellati avevano espresso la volontà di convergere su un nome della Lega nord, e le indiscrezioni danno come favorito il leghista Nicola Molteni (fino a martedì, il favorito era Giancarlo Giorgetti).

Le commissioni si sarebbero dovute limitare a fornire un parere obbligatorio ma non vincolante sulla riforma, che sarebbe poi tornata in mano al governo, che avrebbe potuto approvare definitivamente il testo, esercitando  così la delega fornita dal Parlamento.

«Ai fautori di “più gogna per tutti” – continua Bernardini – in nome della “sicurezza”, ricordo che la pena da infliggere ai colpevoli non deve essere esclusivamente il carcere che crea recidiva; si possono prevedere altre misure. Misure alternative che sono più efficaci per un futuro reinserimento sociale». Bernardini sottolinea come la necessità dell’introduzione di pene alternative, come previsto dalla riforma, sia supportata da diversi studi e raccomandata anche dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (un’organizzazione sovranazionale separata dall’Ue, ndr) che «in un pronunciamento del 2017, prevedeva espressamente che il diritto interno di ogni Paese comunitario persegua la riduzione del ricorso alle pene detentive in carcere, attraverso la disciplina di sanzioni e misure che non privino il soggetto della libertà personale».

Ma per Bernardini, e per tutti coloro che hanno manifestato il proprio impegno per l’approvazione della riforma, come l’Unione delle camere penali italiane, giuristi, associazioni e gran parte della comunità penitenziaria, la battaglia non finisce qui. La promessa, lanciata da Bernardini, è quella di continuare a presentare ricorsi e dossier alle corti italiane ed europee, per denunciare la sistematica violazione dei diritti umani nelle carceri italiane.

Anche il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, è intervenuto sulla questione: «Negare un passaggio meramente consultivo finale – ha detto – che non prevede possibilità di intervento di merito denota una disattenzione grave rispetto all’ampio mondo di coloro che tale provvedimento da tempo attendono». Il garante esprime amarezza per la decisione della commissione, e fa notare come anche l’Europa avesse lodato l’iniziativa della riforma: «L’Europa, pur partendo da una prospettiva di sanzione nel 2013 per condizioni detentive irrispettose della dignità della persona, è giunta a riconoscere i passi che l’Italia ha compiuto per sanare tale grave criticità». Ma, con tale decisione, il Parlamento esprime la volontà di interrompere questo percorso, col rischio che la riforma finisca nel dimenticatoio.