Scomparso dai libri di critica letteraria, l’autore di Grammatica della fantasia, va riscoperto per il suo impegno per la scuola laica e per la sua ricerca linguistica. È proprio attraverso le parole che rifiuta un ordine sociale e politico costituito

Con Gianni Rodari abbiamo riso già da piccolissimi, ci siamo immedesimati in Giovannino Perdigiorno o Gip nel televisore. Ci ha fatto riflettere parlando della guerra e della pace, dell’ecologia e della musica, ci ha posto delle domande negli anni in cui, tra i banchi, imparavamo a leggere e a scrivere. Abbiamo cercato di imitare le sue rime scrivendo anche noi bizzarre filastrocche e grazie a lui non ci siamo mai sentiti sbagliati nel commettere qualche errore. Lo sentivamo dalla nostra parte.

Gianni Rodari – di cui il 14 aprile ricorre l’anniversario della scomparsa – è stato un intellettuale vicino alle giovani generazioni, a cui dà sempre la massima considerazione aprendo con loro un dialogo di scambio e partecipazione. Scrisse per la scuola, per gli insegnanti e i genitori. I temi che affrontò su Paese Sera con i suoi articoli e la rubrica “Dialoghi con i genitori” e sul mensile Il giornale dei genitori, di cui fu direttore dal 1968 al 1977, aprono vasti campi di ricerca. Il contributo che ha dato su questo versante è significativo; da giornalista impegnato sul fronte della scuola, si batte per una sua gestione autentica e democratica, non risparmiando critiche verso chiunque ne impediva o cercava di frenare il suo principio fondante, che è quello laico, inclusivo e solidale.

La mancanza di importanti riferimenti a Rodari nei più rinomati libri della letteratura italiana fa riflettere. Un’assenza che si sente, che pesa, quando nell’indice, tra gli autori che iniziano con la R, non si trova il suo nome. Carmine De Luca che curò nel 2013, portandole alla ribalta, le prime prove del giornalista-scrittore nel libro Il giudice a dondolo, conferma che c’è una sorta di «disattenzione e pigrizia di buona parte della critica letteraria, poco disponibile a prestare orecchio alla letteratura per l’infanzia, in generale, e a Rodari in particolare». Eppure illustri professori come Tullio De Mauro e Alberto Asor Rosa hanno scritto saggi e articoli sottolineando l’importanza della sua ricerca nella letteratura per l’infanzia e nella linguistica italiana. Proprio attraverso la linguistica egli rifiuta quell’ordine costituito in cui vede riflesso un ordine politico e sociale per lui inaccettabile. Questo rifiuto lo porterà a tentare di costruire un nuovo ordine, più solidale, che parte dalla riorganizzazione dell’universo linguistico e suggerisce una nuova dimensione di rapporti umani e sociali. I giochi verbali, i rovesciamenti, la parodia, l’umorismo, ma anche quella utopia concreta che traspare nelle frasi e nei racconti, confermano poi l’influenza delle avanguardie del Novecento. Anche per questo Rodari fu uno scrittore forse troppo rivoluzionario sia per il partito comunista, sia per quel mondo cattolico che vedeva attraverso le sue favole, incitamenti al cambiamento, la possibilità di una trasformazione culturale che si distanziava dai prodotti “confezionati” pensati fino ad allora per i bambini.

Dal dopoguerra agli anni Settanta scrive molti romanzi, e attraverso questa costruzione realistica del presente, mediante però una vena fantastica, ha la possibilità di trovare nella favola gli ideali pedagogici e civili, dall’attivismo alla collaborazione, i temi, cioè, su cui poesie, filastrocche, storie e favole prenderanno corpo. È nelle onomatopee, nel gioco spiritoso di varianti che Rodari apre lo spazio ad una scrittura leggera che sottolinea quella matrice surreale conosciuta anni prima attraverso i surrealisti d’oltralpe e il futurismo di Palazzeschi. I suoi versi e le sue storie spingono a cambiare il mondo, a volerlo migliore, a sognare sempre in grande. Antonio Faeti, nel libro Le provocazioni della fantasia, lo definisce “poeta civile”. Non a caso Grammatica della fantasia, il saggio in cui rivendica l’importanza del processo creativo e dell’invenzione, nasce dagli incontri con una cinquantina di insegnanti di Reggio Emilia nel marzo del 1972. Un’altra opera, il surreale racconto La torta in cielo, prende corpo invece dai suoi incontri in una scuola della periferia romana, al Trullo, dove Rodari trascorre alcune mattinate insieme agli alunni della quinta elementare della maestra Bigiaretti, conosciuta in occasione dei convegni nazionali del Mce (Movimento di cooperazione educativa). Nella scuola elementare Rodari stabilisce un rapporto amichevole con i bambini che poi si riflette nella scrittura. Nel suo libro La scuola anti trantran, la maestra Bigiaretti ricorda quell’incontro memorabile: mai si sarebbe aspettata di vedere Rodari, lì, sulla porta della classe, divertito nell’averle fatto una sorpresa.

Il titolo della favola nasce dalla combinazione di due parole o “duello di parole”, come più comunemente l’autore di Omegna era solito proporre, cioè un esercizio per far nascere l’incontro di immagini che potessero dare inizio ad una storia. A dare lo spunto fu la conversazione con un suo amico: con l’espressione pie in the sky, traducibile in “castelli in aria”, Rodari lasciò vagare i suoi pensieri, fino all’incontro giusto. In quella classe del Trullo, tra lo scrittore e i ragazzi inizia così un rapporto che lo anima, per così dire, suggerendogli idee sui personaggi e i luoghi, facendo crescere a poco a poco il romanzo ambientato proprio nella borgata. La torta in cielo è un romanzo di fantascienza, pacifista, ecologico e antimilitarista. L’elemento scientifico ritorna come indagine doverosa a distanza di circa vent’anni dalla bomba atomica, è il tempo infatti della Guerra fredda. La critica mossa da Rodari verso gli scienziati, che non dovrebbero accettare di costruire strumenti di morte, è chiara nel discorso in cui il protagonista Paolo espone le sue perplessità: «- Scusi, ma non si risparmierebbe di più se le bombe atomiche non si fabbricassero nemmeno? – Sono cose che tu non puoi capire. È politica, io non mi interesso di politica. Io sono soltanto uno scienziato. Anzi, ahimè, lo ero…».

 

Al di là di situazioni proprie della favola classica, la trama è moderna per le questioni di attualità che tocca, su cui Rodari interviene anche con le simpatiche bizzarrie suggeritegli dagli alunni. La torta in cielo è un’operazione letteraria di “abbassamento” verso la cronaca, raccontando un tema così delicato come la minaccia di una nuova bomba atomica. Ma l’obiettivo è far arrivare ai più piccoli un messaggio chiaro e aperto alla ricerca.

Dapprima non si parlò di torta ma di pizza (perché al Trullo la parola si usa sia per la pizza al pomodoro che per la torta al cioccolato). Gli ingredienti furono subito suggeriti a raffica dai bambini – ovviamente era consentito qualsiasi gusto – e tutte le golosità vennero concentrate in quella “bomba”. Crema, panna, gelato, savoiardi, croccantino, ciliegie candite e molte altre leccornie. Rodari generosamente utilizzò tutti i suggerimenti e la torta fu veramente preparata da tutta la classe. Poi una mattina lo scrittore andò a leggere loro le ultime due righe della storia che auguravano l’arrivo di un giorno in cui «ci sarà un pezzetto di torta per tutti, quando si faranno le torte al posto delle bombe». La maestra Bigiaretti racconta che a quelle parole, le bambine e i bambini, emozionati, scoppiarono in un lunghissimo applauso e quel momento rimase vivissimo in tutti loro.

«La coscienza del dovere che abbiamo di cambiare il mondo in meglio senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto come prima». Bastano queste parole per comprendere lo spessore umano e culturale di Gianni Rodari, che, senza alcun dubbio, appartiene alla letteratura del Novecento.

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L’articolo di Ilaria Capanna è stato pubblicato su Left 13 aprile 2018


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