Quattro dimostrazioni che smontano luoghi comuni a proposito della fine della sinistra. Che non è affatto morta, se mai sono morte alcune visioni ideologiche del Novecento. E la democrazia non consente che i governi siano indifferenti verso le diseguaglianze

Scriveva Raymond Aron (che non era un intellettuale di sinistra) che chi sosteneva la fine della  distinzione tra destra e sinistra era di destra, o comunque non era un amico della sinistra. Norberto Bobbio ha proseguito su questa strada e ha argomentato in maniera analitica e non ideologica, che la distinzione ha particolarmente senso nelle società di mercato basate sulla libera iniziativa e quindi sulla produzione di diseguaglianza sociale. Le democrazie non solo non riescono a disinteressarsene, ma devono fare i conti con le richieste di più eguaglianza o più equa distribuzione delle risorse, di politiche che tengano conto dei bisogni primari dei cittadini, non per la semplice sopravvivenza, ma per condurre una vita dignitosa.

Anche se non vogliamo chiamare queste politiche “di sinistra”, anche se vogliamo incasellarle in politiche umanitarie o di aiuto, è evidente che queste politiche presumono che la democrazia ci spinga a pensare in termini di eguaglianza, a mettere in dubbio che possiamo semplicemente avere una visione di neutralità dei diritti di libertà come nel liberalismo pre-democratico. L’inclusione nel sovrano collettivo di molti – idealmente di tutti coloro che devono ubbidire alla legge – non consente l’indifferenza del governo democratico e del discorso pubblico verso le questioni di giustizia distributiva e in generale di eguaglianza. Significa questo che non si possa fare a meno di destra e sinistra? Credo di sì.

Perché questa distinzione non è il prodotto di un’ideologia, ma il sostrato sul quale l’ideologia…

 

L’analisi di Nadia Urbinati prosegue su Left in edicola


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