Da oltre un mese la redazione del Denver Post è in agitazione. La crisi riguarda tutte le testate locali degli Stati Uniti. Dietro, c'è la minaccia all'informazione indipendente

Anche se la “situazione Trump” è da tempo “out of control”, fuori controllo, – per l’attacco costante del presidente americano ai media del suo Paese -, la più “grande crisi del giornalismo” da affrontare oggi, secondo l’editore in capo del New York Times, Brian Stelter, è il “declino dei giornali locali”. Questa è una delle tante notizie negative nella giornata internazionale, 3 maggio, della libertà di stampa, proclamata dall’Onu nel 1991.

La ribellione dei giornalisti in Colorado, USA, va avanti da quasi un mese. Il Post di Denver, uno dei più grandi giornali locali del West americano, fondato 125 anni fa, 170mila copie vendute al giorno e quasi 9 milioni di visite online al mese, ha vinto nella sua storia 9 premi Pulitzer. Ad inizio aprile molti giornalisti del Denver Post hanno lasciato l’edificio bianco della redazione per sempre. “News matters”, le notizie sono importanti, era il titolo a lettere cubitali in prima pagina il giorno dopo. La protesta contro i proprietari, i “capitalisti avvoltoi”, era cominciata. È stata la Alden Global Capital, un hedge fund di New York che ha acquistato il giornale, ad imporre tagli alla redazione e 30 reporter, un terzo dello staff, sono stati licenziati.

Colo. Should demand the newspaper it deserves”, il Colorado dovrebbe richiedere il giornale che merita, hanno scritto i reporter: «cogliamo l’occasione per riconoscere delle verità fondamentali. Quando i proprietari di una redazione vedono nel profitto il loro unico obiettivo, qualità, affidabilità e responsabilità ne risentono. La loro missione è compromessa». Questo non è il primo taglio imposto alla redazione di Denver, ma «quest’ultimo in particolare, è stato come tagliarsi via una gamba, letteralmente come tagliare via un arto al giornale», ha scritto Jesse Paul, reporter politico che lavora al DP dal 2014. Come molti altri suoi colleghi, non ha avuto paura di criticare la scelta della Alden Global. Chuck Plunkett, editorialista del quotidiano dal 2003, è cosciente del rischio che corre, criticando apertamente i proprietari del giornale, ma «è la cosa giusta da fare, e se questo vuol dire perdere il mio posto di lavoro per difendere i miei lettori, allora vuol dire che non stavo lavorando per le persone giuste».

La storia del Denver Post, non è unica in America. Centinaia di redazioni locali nel paese combattono per sopravvivere nell’era del digitale e dei social media, dei tagli per i profitti e delle strategie di mercato.
Oggi, 3 maggio, è la giornata mondiale della libertà di stampa, stabilita dall’Assemblea generale Onu nel 1991, per ricordare a governi ed autorità, l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, per difendere i media nella loro indipendenza e non dimenticare i giornalisti che hanno perso la vita esercitando la loro professione.

Molti giornalisti quest’anno hanno perso la vita (v. ultimo attacco kamikaze in Afghanistan), molti altri il lavoro. Specialmente oggi, non solo negli Stati Uniti, bisogna porre la stessa domanda dei reporter licenziati in Colorado agli “avvoltoi capitalisti” e anche ai loro lettori. Come scrive l’editorialista Mario Nicolais: chi sarà al nostro posto quando “all the journalists are gone”, quando tutti i giornalisti saranno spariti?