Ora tocca al bar devastato in zona Romanina accendere l'ennesimo allarme dall'odore mafioso, con quel che basta di violenza per rendere il tutto ancora più appetitoso per i media e con gli sventurati da intervistare a piene mani. Il copione è sempre lo stesso: un cognome che conta (anche se si finge di non averne saputo nulla fino a qualche ora prima), qualcuno che si ribella e ne paga le conseguenze (c'è chi si ritrova il naso rotto da una testata come accaduto con gli Spada a Ostia, in questa occasione abbiamo le cinghiate prese da una disabile) e poi fioccano i servizi in cui gli abitanti della zona dicono che "è sempre stato così, che l'importante è farsi i fatti propri, che loro non hanno mai avuto problemi", poi arriva il sindaco, le autorità e così via, fino al prossimo caso. Il mafiosetto bullo di turno torna anche utile a dipingere la zona degradata, con quei tratti da periferia del mondo come se sia quella particolare violenza a diventare paradigma del tutto. Poi, passati alcuni giorni, ci si dimentica e si ricomincia. Eppure i Casamonica (che si chiamino in un altro modo, con qualsiasi altro cognome) li partoriamo noi: il potere acquisito (sia anche solo intimidatorio, al limite del mafioso) è figlio di un comportamento generale tutto intorno che non è nient'altro che omertà. Omertà, sì, anche se la parola sembra essere ormai fuori moda e anche se ogni volta che la leggiamo riferita al nostro quartiere ci provoca una certo risentimento, come se fosse un'accusa rivolta a noi. E in effetti è un'accusa rivolta a noi. I "Casamonica" proliferano perché ormai in tutta Italia, mica solo al sud, il nuovo federalismo delle responsabilità ci ha convinto che il nostro unico dovere sia proteggere il nostro piccolo cortile, i nostri famigliari e gli amici più cari senza spendere troppe energie per il territorio, per la propria città, per il Paese. Siamo tranquilli se il nostro condominio è tranquillo e questo ci basta, tutti intenti a restringere il campo dei nostri doveri. Qualche giorno fa in una ridente cittadina del nord, periferia milanese, i funerali della madre di un boss di mafia (detenuto al 41 bis) hanno ripetuto i fasti a cui ci hanno abituato i clan, bloccando mezza città con un corteo non autorizzato di banda musicale e petali di fiori. Eppure nessuno ne ha parlato. Ci accorgiamo della nostra responsabilità ristretta quando scappa un po' di violenza ma i Casamonica li partoriamo noi, dappertutto. Buon martedì.

Ora tocca al bar devastato in zona Romanina accendere l’ennesimo allarme dall’odore mafioso, con quel che basta di violenza per rendere il tutto ancora più appetitoso per i media e con gli sventurati da intervistare a piene mani. Il copione è sempre lo stesso: un cognome che conta (anche se si finge di non averne saputo nulla fino a qualche ora prima), qualcuno che si ribella e ne paga le conseguenze (c’è chi si ritrova il naso rotto da una testata come accaduto con gli Spada a Ostia, in questa occasione abbiamo le cinghiate prese da una disabile) e poi fioccano i servizi in cui gli abitanti della zona dicono che “è sempre stato così, che l’importante è farsi i fatti propri, che loro non hanno mai avuto problemi”, poi arriva il sindaco, le autorità e così via, fino al prossimo caso.

Il mafiosetto bullo di turno torna anche utile a dipingere la zona degradata, con quei tratti da periferia del mondo come se sia quella particolare violenza a diventare paradigma del tutto. Poi, passati alcuni giorni, ci si dimentica e si ricomincia.

Eppure i Casamonica (che si chiamino in un altro modo, con qualsiasi altro cognome) li partoriamo noi: il potere acquisito (sia anche solo intimidatorio, al limite del mafioso) è figlio di un comportamento generale tutto intorno che non è nient’altro che omertà. Omertà, sì, anche se la parola sembra essere ormai fuori moda e anche se ogni volta che la leggiamo riferita al nostro quartiere ci provoca una certo risentimento, come se fosse un’accusa rivolta a noi. E in effetti è un’accusa rivolta a noi.

I “Casamonica” proliferano perché ormai in tutta Italia, mica solo al sud, il nuovo federalismo delle responsabilità ci ha convinto che il nostro unico dovere sia proteggere il nostro piccolo cortile, i nostri famigliari e gli amici più cari senza spendere troppe energie per il territorio, per la propria città, per il Paese. Siamo tranquilli se il nostro condominio è tranquillo e questo ci basta, tutti intenti a restringere il campo dei nostri doveri.

Qualche giorno fa in una ridente cittadina del nord, periferia milanese, i funerali della madre di un boss di mafia (detenuto al 41 bis) hanno ripetuto i fasti a cui ci hanno abituato i clan, bloccando mezza città con un corteo non autorizzato di banda musicale e petali di fiori. Eppure nessuno ne ha parlato.

Ci accorgiamo della nostra responsabilità ristretta quando scappa un po’ di violenza ma i Casamonica li partoriamo noi, dappertutto.

Buon martedì.