In uno degli ultimi capitoli de Il sentiero dei nidi di ragno, il commissario Kim così spiega al comandante Ferriera il senso profondo della lotta partigiana: «Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo». Lo scorso 25 aprile un quotidiano nazionale ha titolato: “Liberateci dalla Liberazione”, sostenendo che, in ultima analisi, gli italiani non ne conoscono o apprezzano più il senso. Nello stesso giorno l’Istituto nazionale Ferrucci Parri di Milano, la rete che riunisce gli Istituti per la storia della Resistenza, ha lanciato il progetto ResistenzApp, un’applicazione gratuita che descrive e georeferenzia i principali eventi della guerra di Liberazione, offendo una galleria di personaggi e di spunti tematici, accompagnati da immagini e materiali audio e video.
Nonostante le istanze revisionistiche del periodo fondamentale e fondante la nostra storia democratica si può sostenere che la Resistenza continua a resistere, e a regalare spunti di riflessione attuali e cogenti. Sfruttamento, ignoranza, oppressione, ingiustizia non sembrano affatto aver perso di significato.
«La dimensione attuale ci fa guardare a quel periodo con domande diverse, ma permane il valore ultimo dell’interrogarsi individualmente sul senso di giustizia e dell’etica personale di fronte alla necessità di operare una scelta. È la Resistenza degli uomini e delle donne in quanto individui, con le loro fragilità, i loro dubbi e anche le loro contraddizioni, per andare oltre la retorica dell’eroe e riscoprire al contrario delle persone che hanno avuto il coraggio di schierarsi – spiega Toni Rovatti, storica dell’Università di Bologna e coordinatrice del progetto assieme a Marcello Flores e Mirco Carrattieri -. L’applicazione offre un affresco sulla Resistenza, ne restituisce le diversità e la complessità, sia dal punto di vista dei periodi storici sia della pluralità dei personaggi e degli eventi».
Il progetto, al quale hanno partecipato molti dei più importanti storici italiani e finanziato dalla presidenza del Consiglio dei ministri in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione del 2015, nasce con il duplice obiettivo di evitare la classica liturgia della memoria, utilizzando uno strumento agile e di uso comune, e di evidenziare aspetti meno conosciuti, e finora poco indagati, di quel periodo storico e delle storie degli uomini e delle donne che hanno fatto la Resistenza. «È uno strumento che guarda alle nuove generazioni e al contempo offre una serie di banche dati per gli addetti ai lavori riflettendo le acquisizioni della storiografia degli ultimi venti anni in modo sintetico ma puntuale», precisa Rovatti.
La Resistenza difatti non è solo quella armata dei partigiani: «Abbiamo cercato di mettere a valore la pluralità della Resistenza – aggiunge ancora -. C’è quella armata, certo, ma anche quella civile, delle donne e degli intellettuali, e degli internati militari italiani, i soldati catturati dai tedeschi e diventati prigionieri di guerra dopo l’8 settembre e deportati in Germania, dove vengono utilizzati come lavoratori forzati. Questa vicenda, a lungo sottovalutata, rappresenta invece una prima e significativa forma di “resistenza senz’armi”, tanto più importante considerato il numero dei militari coinvolti».
Altri aspetti troppo a lungo sottaciuti, e che tornano alla luce scorrendo tra le innumerevoli voci dell’applicazione, sono quelli relativi alla Resistenza al meridione e delle donne. Un caso emblematico è la storia di Caterina Tufarelli Palumbo Pisani, la prima sindaca donna eletta della storia repubblicana, a San Sosti in provincia di Cosenza nel marzo 1946, che con uno dei suoi primissimi provvedimenti istituirà il comitato comunale di assistenza, un organismo di vitale importanza di fronte alla povertà dilagante e alla diffusa disoccupazione. Accanto a figure femminili irrinunciabili come quelle di Ada Prospero Gobetti e Renata Viganò prendono vita quindi «personaggi meno conosciuti, dalle operaie alle benestanti, che hanno operato una scelta indubbiamente difficile ma alla quale ben presto si abituano perché con la guerra e il conflitto saltano i canoni della normalità», sottolinea ancora la studiosa.
Al progetto non hanno lavorato solo gli storici. Nella sezione audio prendono vita, e voce, i documenti, gli scritti, e i ritratti di una vasta galleria di donne e uomini resistenti, letti dai due attori teatrali della compagnia bolognese Archivio zeta, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti. «Le storie che leggiamo non sono romanzate, sono i documenti originali, in alcuni casi autobiografici come le lettere scritte ai familiari durante la prigionia, in altri ritratti vergati da amici o parenti», precisa Sangiovanni, che ha dato voce alle protagoniste femminili. «Porre l’accento sulla complessità e persino le contraddizioni dei partigiani attraverso i loro scritti – prosegue – ha un significato particolare, ovvero quello di non banalizzare il tema della memoria e di comprendere il senso profondo della scelta di queste donne e uomini che decisero di stare dalla parte dei più deboli, degli emarginati e degli oppressi di allora. E per questo sono così straordinariamente attuali».