«È cominciato spontaneamente, abbiamo cominciato a portargli cibo e sono arrivati in 500» ha detto Rasim Pajezetovic, un imprenditore di Velika Kladusa, Bosnia. Lui, come molti altri abitanti dei paesi a ridosso del confine settentrionale, tra Bosnia e Croazia, ha cominciato volontariamente ad aiutare i rifugiati. I bosniaci e i migliaia in arrivo dalle polveriere di Africa e Medio Oriente in comune hanno poco, ma una cosa potente li lega: sanno cosa sia la guerra.
Accade però che ai locali balcanici, ex rifugiati loro stessi della guerra che scoppiò in Bosnia nel 1992, manchino fondi per aiutare i migranti. A volte «succede che davvero non abbiamo niente con cui nutrirli», ha detto Pajezetovic alla agenzia stampa Reuters, stringendo una pentola di brodo di cavolo. Manca cibo e mancano le istituzioni, che non hanno offerto alcun tipo di aiuto. Il sindaco di Velika ha provato a fare quel che poteva: invece che nel parco della cittadina, ha offerto ai rifugiati di dormire in un campo di tende accanto, dove i bosniaci portano, quando possono, cibo, vestiti, medicine.
«Devo arrivare in Germania perché la mia famiglia è lì». Lo ha detto Omar, 19 anni, nato in Iraq, ma sono in molti a ripeterlo. «Sono stato rispedito indietro dalla Croazia già sei volte», dice il migrante, rimasto bloccato già per due anni in Grecia, insieme a suo fratello. Più del 40 per cento dei rifugiati che ha provato a raggiungere l’Europa del nord attraverso il Paese, è rimasto bloccato in Bosnia.
Nel 2017 solo 755 migranti hanno scelto la Bosnia come Paese di transito. Nei parchi della Capitale o in altri paesi dove aspettano un passaggio verso ovest, gli aspiranti richiedenti asilo nei primi mesi del 2018 sono già circa 4.500. Arrivano da Siria, Turchia, Algeria, Afghanistan. «Il rischio che corriamo è una crisi umanitaria in miniatura, questa situazione non va risolta il prossimo mese, ma la prossima settimana» ha detto Peter Van Der Auweraert, portavoce per i Balcani dell’ovest dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), secondo cui il flusso di nuovi arrivi raggiunge le 350-400 persone a settimana.
Ma per Adnan Tatarevic, dell’ong Pomozi, che vuol dire “aiuto”, parliamo di cifre molto più alte: «Ci aspettiamo 50mila arrivi per la fine dell’anno». Nonostante le pressioni sul governo delle associazioni che aiutano i rifugiati, le autorità non hanno trovato una soluzione: c’è un solo centro d’accoglienza nello Stato e ha solo 200 posti letto. Secondo il ministro della Sicurezza Dragan Mektic, nel centro sono arrivate – nelle prime settimane di maggio – dalle 80 alle 150 persone al giorno
Preoccupata dall’aumento della migrazione del Paese, Sarajevo non ha adottato soluzioni per far fronte all’emergenza, ma ha semplicemente aumentato i controlli alle sue frontiere per bloccare il flusso di questa nuova rotta balcanica. Lo ha annunciato a inizio mese il premier Denis Zvizdic, ampliando i poteri della polizia che ora sarà schierata alla frontiera. Nonostante l’ultimo appello della ong Human rights watch, secondo cui la Bosnia sta «fallendo nel proteggere i diritti dei richiedenti asilo, che dormono per strada senza cibo, tetto, assistenza medica», nient’altro è stato fatto.